Padre nostro…
…che sei qui in terra. Oggi la figura del padre ha subito un tale ridimensionamento che temo possa essere cagione di numerosi danni all’interno della società, in senso più ampio, e del microcosmo socio-famigliare, in senso più mirato. La fuga a ritroso della nostra epoca verso il ripristino del matriarcato (prima vera organizzazione sociale nella storia dell’umanità secondo l’antropo-sociologo Sébastien Bachofen) sembra non aver più bisogno della figura paterna nemmeno per il bricolage.
Non ho intenzione di scrivere un’apologia del patriarcato, voglio soltanto metter a fuoco un vuoto, una carenza che si è venuta a creare all’interno del vissuto individuale di una moltitudine di persone, siano loro maschi siano loro femmine.
La crisi del ruolo del padre ha iniziato a delinearsi, col passare dei decenni, almeno dal secondo dopoguerra in poi. Attualmente, i padri fanno più fatica a reggere il peso dei loro compiti e vedremo perché.
Nella psicodinamica della paternità contemporanea è sempre più ambigua la simbologia da conferire al padre. Dunque, quale padre? Il Pater dell’antichità latina che personificava la normativa, la legalità. Il Padre biologico che assume un valore importantissimo nello sviluppo psichico del bambino con le sue dimensioni di morale e di Super Io, entrambi agenti. Oppure, il Papà dell’intimità e dell’affettività, quello con cui è importante giocare e passare del tempo insieme affinché la sua presenza acquisisca agli occhi dei figli una densità autorevole e mai autoritaria.
Il ruolo educativo e didattico del Padre, attualmente, è reso molto meno decisivo, perlomeno sotto l’aspetto prettamente tecnico. Quello dell’anziano, in genere, poi, è addirittura considerato superfluo, tanto da emarginarlo e toglierlo dalla centralità dei rapporti famigliari. La sua figura di riferimento è svuotata della sua autorevolezza rispetto all’apprendimento. “Chiedi a papà, lui sa”, è una frase che oggi fa sorridere. Ai nostri giorni, l’informatica permette di raggiungere qualsiasi informazione o notizia e, quindi, il padre, l’anziano carico d’esperienza e di saperi, è superato e reso inutile. L’apprendimento circa le cose del mondo, dunque, non passa più attraverso di lui con conseguente perdita di autorevolezza, il cui vuoto mina alla base il rapporto di fiducia con i figli.
La stragrande maggioranza dei padri (come tante madri) si trasferisce per molte ore al giorno sul posto di lavoro e ciò riduce la loro presenza fisica nell’ambito famigliare. L’assenza fisica favorisce l’assenza psicologica che rende il padre incerto e debole rispetto al suo ruolo. Spesso al suo fianco troviamo, quasi a contrappeso della sua struttura psichica deficitaria, una figura femminile dominante che può essere sia la moglie sia la madre (di lui).
La frustrazione e la perdita dell’autostima sono le due conseguenze più importanti e comuni con le quali il Padre deve fare i conti. L’influenza che la figura paterna svolge in relazione allo sviluppo psicologico e al destino del figlio/a non è né meno né più importante di quella materna: è semplicemente diversa e di natura più specifica. La paternità non è semplicemente una trasmissione genetica né tantomeno economica. L’errore psicologico più macrospopico che un padre possa compiere (ma l’osservazione va rivolta ad entrambi i genitori) è quello di vivere il rapporto col figlio/a in modo oltremodo narcisistico. Considerare il figlio/a come un’estensione di sé è il modo migliore per annullare o danneggiare il regolare sviluppo della personalità della propria prole. I figli vengono attraverso di noi (padri e madri), ma non ci appartengono. Essi avranno il loro personale ed unico destino da affrontare e la direzione è centrifuga.
Allora, il compito importantissimo del padre in particolare (la madre è sovente un pianeta con una forza di gravità straordinaria) è quello di trasmettere gli strumenti che aiutino lo sviluppo di una crescita autonoma e alzino i livelli d’indipendenza. Il padre, nella psicologia delle relazioni famigliari, è una figura da conquistare. Egli aiuta il figlio maschio a distaccarsi dalla madre, poiché è a lui che si rivolge l’attenzione del figliolo nella ricorsa all’identificazione di genere, e conferma la figlia nel valore del di lei femminile. Una buona idealizzazione del padre serve sia al figlio sia alla figlia. Abbiamo detto che per la prole maschile egli rappresenta il modello cui ispirarsi mentre per quella femminile assume una grande importanza per la conferma che saprà dare alla sua femminilità.
Nella concretezza dei rapporti famigliari, ciò che percepiamo come padre personale è il risultato evidente di un’immagine paterna che si fonda sullo zoccolo duro dell’archetipo padre. Il padre archetipico è un’entità psicologica dotata di una forza straordinaria. Quindi, il padre “interiore”, nella nostra psiche, è il risultato del padre reale portato stabilmente (introiettato) nella nostra mente e congiunto al padre archetipico che alberga in noi da sempre a livello inconscio. Nella realtà dei fatti, è facile scoprire come il padre abbia sempre amato (fatte le dovute eccezioni spesso anche patologiche). Omero, nell’Iliade, ne dà la prova letteraria tra le più antiche con l’etico esempio di Ettore che prende in braccio Astianatte, in presenza della moglie Andromaca, auspicando che un giorno sarà migliore del padre.
Ciò che un padre deve attuare è una solida forma di rispetto verso in proprio bambino interiore e non trascurarlo mai. La sigizia archetipica Puer/Senex, infatti, gioca un ruolo determinante nella psiche di ognuno. L’archetipo Puer spinge sempre verso l’alto, verso l’ideale, trascurando il suolo e le sue insidie. Quando l’archetipo Puer inflaziona la psicologia dell’individuo, troviamo che, sovente, egli muore giovane. Il Senex, invece, esprime la saggezza e il calcolo, ma anche questo archetipo nasconde i suoi pericoli. Se il Senex inflaziona la psiche, riscontriamo una pesante aridità della vita. Il troppo calcolo, infatti, esclude l’entusiasmo che è una componente dell’animo importantissima per il raggiungimento dei propri obiettivi e del giusto equilibrio tra prevenzione e rischio. Troppo Senex porta alla depressione, conseguenza della mancanza di gioia dovuta al troppo calcolo e tornaconto.
Anche il padre deve fare i conti con la propria Ombra, scritta con la O maiuscola, un archetipo psichico che, nella teoresi junghiana, esprime tutto ciò che non vorremo essere eppure siamo. Non il male assoluto, piuttosto il primitivo che può anche realizzarsi in quanto dannoso. Il passo del riconoscimento dell’Ombra nel padre è importantissimo perché l’Ombra non integrata e depotenziata del genitore si rivelerà come destino nella vita del figlio. Compiuto questo percorso, la “possessione” da parte dell’Ombra nei confronti della psiche del padre non potrà più verificarsi. Uno dei modi migliori per integrare gli aspetti Ombra della psiche è la psicoterapia junghiana. Quindi, nessun “esorcismo” stravagante bensì un cammino psicoterapico professionale in grado di trasformare l’archetipo Ombra da pericolo annichilente e dannoso in propellente per la realizzazione migliore di sé stessi.
A questo punto, si può meglio comprendere come, spesso, la solitudine è una scomoda compagna dei nostri figli nelle relazioni famigliari. Un padre irrisolto, una madre troppo accudente, magari entrambi distratti e non consapevoli rispetto alle reali necessità dei propri figli, sono la base delle difficoltà di relazione equilibrate e corrette di cui loro hanno estremo bisogno.
La famiglia, intesa in senso classico, oggi è in crisi dovuta alle repentine trasformazioni della società e delle sue norme. Le famiglie allargate, i secondi matrimoni, ad esempio, quello di una donna con figli dove subentra la figura di un padre acquisito, solo per citare alcune varianti, possono ulteriormente complicare e mettere in discussione la figura paterna. Chi è padre? Quello biologico o quello con cui il figlio ormai convive? Campi minati rispetto ai quali è salvifico conoscere il sentiero libero da insidie. Nei momenti di attrito e di litigio, all’ordine del giorno nei gruppi famigliari come in qualsiasi altro gruppo, la frase: “Tu non sei mio figlio” è la mannaia che cala con forza a recidere quella minima probabilità di comunicazione che esisteva. Già i figli devono passare attraverso la contestazione genitoriale per dare forza alla spinta centrifuga che li porterà al di fuori dell’alveo famigliare a cercare il proprio posto nel mondo. È bene ricordare ad ogni padre e ad ogni madre che parlare non è l’unico modo di comunicare. L’esempio dice molto più di mille parole.
Vorrei spendere alcune righe sul “tradimento” del figlio/a, un tradimento primario che si pone alla base della conferma e della stima della prole in cerca di definizione identitaria. I miti antichi sono colmi di esempi che conducono alla lotta intergenerazionale: Kronos che divora i propri figli, Zeus che li combatte sotto forma di Titani. La violenza del figlio/a in cerca di conferma, in alcuni casi, è presto compresa se la si legge come atto di legittima difesa contro un padre o una madre troppo impositivi e annullanti. I miti sono delle bussole esistenziali, codici di lettura che ci orientano nella nostra realtà personale e in quella della società.
Compreso e condiviso ciò, c’è comunque da rilevare che la figura del genitore “servo” estremamente disponibile non è adatta al ruolo. Il padre, per l’appunto, ha sempre rappresentato la legge e il limite. Annullare tale limite, che può manifestarsi anche sotto forma di un semplice no, spiegato e discusso insieme col figlio/a, può essere grandemente pericoloso. Il no in amore serve e produce benefici tanto quanto il sì.
Diminuire la figura del padre nella dinamica famigliare, magari con allusioni e sabotaggi più o meno consapevoli da parte di una madre/moglie troppo centrale, è forse una delle azioni più sconsiderate che si possano compiere nelle dinamiche famigliari.
Concludo questo breve excursus a volo radente sulla figura del padre ai nostri giorni con un verso della poesia “A mio padre”, di Camillo Sbarbaro, un poeta ligure dei primi del Novecento che col padre, stando alla sua biografia, ebbe più che un problema: “Padre, se anche tu non fossi il mio padre, se anche tu fossi a me un estraneo, per te stesso ugualmente t’amerei.”.