Ulisse alle amazzoni di oggi

Kalimera! Anzi, buon giorno! Sono Odisseo o, per dirla come voi italiani, Ulisse, un greco, re di Itaca. Mi permetto di esprimere queste poche parole solo perché sono stato recentemente evocato, e per l’ennesima volta in realtà,  in un convegno sull’Amore. Devo dire che l’atenide che questa volta mi ha nominato lo ha fatto gettando su di me, e su mia moglie Penelope, il suo disprezzo nonché la sua antipatia. La cosa mi è suonata molto strana perché questa donna, sicuramente intelligente e preparata, deve avere come riferimento divino la mia stessa Dea protettrice, l’unica in realtà che si è sempre schierata senza mezzi termini dalla mia parte: Atena Pàllade, diva della sapienza e dell’intelligenza, dagli splendenti, vividi occhi azzurri.

Athena Pallade

Avrei voluto intervenire direttamente al convegno, durante l’evocazione che mi riguardava, ma anche qui agli Inferi esiste una sorta di “burocrazia”: sia in entrata, sia in uscita bisogna compiere una serie di rituali e lanciare ben precise suppliche che, naturalmente, prendono un certo tempo e l’esito non è affatto scontato. Leggete il libro undecimo della “storia” che mi riguarda narrata dal cantore Omero e qualcosa sul mito d’Orfeo se non ci credete. È per mancanza di tempo e per subordinazione ai voleri di Ades, dunque, che non sono potuto intervenire a mia difesa. Affido, allora, al mio amico Ivan queste precisazioni perché con lui ho un contatto costante e anche questa volta sono riuscito ad entrare in uno dei suoi sogni.

Ulisse agli Inferi

Di che cosa sarei imputato, quindi, mia dolce “Ippolita”? Perché ti sto così cordialmente antipatico? Tu dici che me ne sono andato in giro pel mare a fare le mie belle esperienze. Ti dà  così fastidio il fatto che non sia tornato subito a casa? Sapessi quanto avrei voluto farlo e presto! Invece, le cose non sono andate bene e non, come lasci trapelare tu, per colpa mia. Ho dovuto partecipare ad una guerra alla quale mi sarei sottratto volentieri (ho provato pure a fingermi scemo), ma non ero nella condizione di rifiutare il mio aiuto ai prìncipi atridi. Ho dovuto combattere per il potere sì, come sempre, ma con fermezza e a favore della mia gente. È stata una guerra lunga e distruttiva, apportatrice di “infiniti lutti” da entrambe le parti. Non si sarebbe mai conclusa, sai? E chi si è assunto il pesante compito di farla cessare? Io, Odisseo, l’infido, traditore, scaltro, forte e coraggioso re degli Itacesi. Vuoi sapere perché mi sono inventato il tranello del cavallo? A te posso confessarlo: non ne potevo più! Mi mancava da morire Penelope e non sapevo che fattezze avesse mio figlio Telemaco.

Il cavallo di Troia

Sì, è vero. Sono stato un maledetto curioso… e che colpa ho io se fatto non fui a viver come un bruto “ma per seguir virtute e canoscenza”? Comunque la vuoi mettere, mia sagace interlocutrice, non è stata questa curiosità a sottrarmi per così tanto tempo all’amore dell’unica donna che ho veramente amato, più della mia stessa vita. Io, cara la mia “Pentesilea”, ho avuto in carico dagli Dei un destino pesantissimo al quale ho tentato di sottrarmi, ma non mi è stato possibile. Provaci tu a sottrarti al tuo.

A guerra finita, approntata la nave con i miei compagni, in seguito morti tutti a causa del mio fato crudele, ho puntato la prua indovina verso dove? Avevo in mente la mia “petrosa Itaca” e Penelope e Telemaco e i miei sudditi. Invece, sono stato sballottato di qui e di là per il Mediterraneo dall’ira degli Dei e di uno in particolare, al quale non sono mai stato simpatico: Posèidon, protettore dei Troiani. Capirai, gli avevo anche accecato uno dei suoi figli prediletti, Polifemo. Quel infame mostro della natura, sovvertendo ogni regola sacra dell’ospitalità, si era mangiati vivi letteralmente alcuni dei miei più cari compagni, davanti ai miei occhi atterriti e senza che io potessi fare nulla per salvarli. Pensa un po’ quante possibilità avevo di tornare rapidamente a casa via mare!

Polifemo e Ulisse

Non è vero quello che dici che ho amato molte donne, ti correggo: io sono stato amato da molte donne. Il che, se permetti, è ben diverso. Una dea addirittura (Calipso, il cui nome, guarda caso, nella vostra lingua italiana significa: colei che nasconde, che sottrae) mi ha letteralmente sequestrato, offrendomi l’immortalità in cambio del mio imperituro amore. Io, invece, niente… testardo, volevo Penelope, perché è lei che avevo e ho sempre avuto nel cuore. Come ti sei permessa l’ardire di esprimere la tua livida repulsione anche su di lei!? Secondo il tuo argomentare, Penelope è stata una sciocca. Ah sì? La mia ira contro di te sbollisce di colpo, stranamente, perché capisco che non sei del tutto consapevole di questo tuo avventato giudizio. Ti auguro di poter riuscire ad amare, un giorno, nella tua vita, un uomo così come ha fatto lei con me e di poter ricevere l’amore di un uomo così come ho fatto io con lei.

Penelope riabbraccia Ulisse

Il femminile ha attraversato la via del mio ritorno e non è stato sempre un femminile benigno. Circe dicevi? La temibile e potente maga che ha trasformato i mie compagni in porci? E a questo punto sei andata giù con le allusioni al tipo di animale in cui sono stati mutati. Anche qui devo correggerti però (io c’ero!): non tutti sono stati trasformati in suini! Chi lo è stato in cane, chi in leone, ciascuno conformemente alle profonde tendenze del suo carattere e della sua natura. Potrei polemicamente risponderti che, mentre alcuni dei miei amici hanno avuto bisogno dell’intervento di una potente maga per dar luogo alla loro deformatio suina, molte donne, al contrario, non necessitano di alcuna ingerenza. Non voglio scadere di livello, però, non è da re.

Anche Circe ha tentato di nuocermi, dunque, ma poi – a seguito di alcune mie perentorie azioni suggeritemi direttamente da Hermes – mi ha dovuto lasciare andare, dandomi addirittura dei consigli. Come vedi c’è del buono in ognuno.

Ulisse, Hermes, Circe e i compagni trasformati

Quando sono tornato a casa, alla fine, ho avuto la buona accortezza di non farmi riconoscere subito: sono o non sono un uomo astuto? Io ero sicuro di Penelope, un po’ meno dei prìncipi Proci. Tu che hai parlato male di Penelope! Lei, seppure mi ha fatto attendere un po’ per avere la certezza che fossi veramente io (forse levandosi il gusto di una sua piccola vendetta personale, oh amore mio!) mi ha riservato una accoglienza ben diversa da quella che Clitennestra ha destinato al suo Agamennone.  Probabilmente non potrai mai comprendere quello che ho provato quando lei mi si è riaffidata tra le braccia. Venti anni di lotta, di tenacia, di desiderio bruciante si scioglievano come per incanto; ma soprattutto sapere di avere di nuovo la sua fiducia mi ha conferito una forza ed una determinazione disumana. Con la strage dei Proci, però, il mio compito non era ancora finito. Ormai, grazie ad Omero, lo sapete tutti che ho dovuto affrontare lo scontro finale con i parenti delle vittime. È stato, questo, il momento più difficile di tutta la mia vita ed anche qui devo molto ai miei Dei, partigiani ed interventisti sì, ma che in tale, delicato frangente hanno operato a fin di bene. Ho dovuto addivenire a patti con Padri, Madri, Fratelli, Sorelle e, da buon re, la mia capacità di mediazione non mi ha difettato.

Athena ordina ad Ulisse di fermare lo scontro con i parenti dei Proci

Hai accennato alla politica del piagnisteo da parte di un certo maschile lamentoso. Veramente, da quello che ho sentito (nonostante la distanza, la ricezione agli Inferi è ottima) mi è sembrato che, per tutto il tuo eloquio, tu (ed altre tue colleghe) ti sia espressa esattamente con questo tono piagnucoloso relativamente ai problemi del femminile e dei suoi, per altro, sacrosanti diritti. Hai parlato, con imprecisione ancora una volta, di delitti d’onore quando sono tornato ad Itaca. Io non ho ucciso per l’onore, sappilo, perché l’onore, sia il mio che quello di Penelope, era integro e non era in discussione. Io ho ucciso per il potere! Sì. Senza quello avrei perduto tutto ciò che mi spettava di diritto, compresa lei, mia moglie. E lei mi apparteneva non per possesso, ma per storia personale. Cosa avrebbero mai potuto fare quei rammolliti contro la mia ferocia di risoluto, esperto guerriero. Io, da solo con l’aiuto del vaccaro Filezio, del fedele porcaro Eumeo e del mio giovane Telemaco li ho fatti fuori tutti, uno ad uno, senza pietà. Avevi qualche dubbio che mi avrebbe fatto orrore spargere altro sangue dopo tutto quello che ho visto versare e ho contribuito a far versare sotto e dentro le mura di Troia?  Quando le mie spalle hanno scapolato nel tendere il mio formidabile arco (io solo ero in grado di piegarlo) e ho fatto partire il primo dardo che ho conficcato in gola ad Antìnoo, a cosa credi stessi pensando, eh?

Ulisse tira col suo arco

Ah, non lo sai, non lo immagini? Allora, te lo dico io: a Penelope, a Telemaco, alla mia terra, con ossessione, con furore! Perdere loro avrebbe significato perdere me stesso, avrebbe significato vanificare venti anni di lotta, di sopportazione di una disperata solitudine. Se permetti, ho combattuto ancora una volta per la mia vita, per la mia identità di uomo e di re.

Ulisse parla a Telemaco

Tu puoi anche pensare che sono un antipatico e un assassino, cara mia, puoi anche non essere d’accordo con i metodi da me usati: comprendo e passi pure, questione di punti di vista; ma non puoi portarmi come esempio negativo nel discorso sull’Amore di coppia. Questo no; è una enorme ed offensiva imprecisione e non te la concedo. Odisseo Re di Itaca