L’uomo del vestito bianco

Tutto ciò che ha valore nella società umana
dipende dalle opportunità di progredire che vengono
accordate ad ogni individuo.


Albert Einstein, Come io vedo il mondo.

No, non è del papa che voglio parlare, ma di un chimico britannico, Sidney Stratton, personaggio immaginario, che scopre un nuovo tipo di tessuto indistruttibile e assolutamente refrattario allo sporco.

Lo scandalo del vestito bianco(titolo originale: The man in the white suit) è un film del 1951 per la regia di Alexander Mackendrick tratto da una commedia teatrale di Roger McDougall, sceneggiatore insieme con lo stesso regista e John Dighton.

Alec Guinness/Sidney Stratton al cospetto degli imprenditori tessili

L’interrogativo che la trama pone è piuttosto forte: La tecnologia che supporta il progresso è davvero un bene se è messa a disposizione di tutti? La gran Bretagna è stata la Nazione che ha inventato il capitalismo moderno e si è particolarmente distinta nella meccanizzazione produttiva del tessile (ricordo la Spinning Jenny, il primo telaio automatico a lavoro intermittente con mandrini multipli realizzato intorno al 1775 a Stanhill in Inghilterra). Questo dispositivo meccanico permise la velocizzazione della produzione e contemporaneamente abbatté drasticamente la manodopera perché un solo lavoratore poteva gestire otto e più aste allo stesso tempo.

La spinning Jenny

La storia dell’evoluzione tecnica ci racconta che, periodicamente, una scoperta produce un’ottimizzazione della produzione a scapito della forza lavoro. Pensiamo solo all’introduzione dei robot nelle fabbriche automobilistiche. Allora, il progresso tecnologico non ha sempre aspetti positivi? In effetti, nell’ironico e satirico film da me citato, dopo un primo osanna ricevuto anche dai produttori tessili, il povero Stratton si ritrova rincorso e perseguitato sia dai proprietari delle fabbriche sia dai lavoratori del settore. Entrambi comprendono subito che, dopo un primo balzo delle vendite, il mercato del tessile avrebbe avuto un arresto definitivo. È un problema di politica economia, dunque. È chi possiede il potere di prendere decisioni politiche rispetto all’economia che può cambiare le sorti e l’avvenire del progresso. La faccenda non è così semplice, come ci fa ben comprendere il film di Mackendrick.

Gli operai del tessile toccano il tessuto

Cos’è il progresso, in definitiva? L’avanzamento della tecnologia? Sicuramente. Però, se la tecnologia progredisce e resta criptica sarà appannaggio di pochi. Avremo, così, la trasformazione di essa in tecnocrazia, che è ben altra cosa: un potere che predilige la riservatezza, nascosto, come tutti i veri poteri e, quindi, molto pericoloso. La tecnologia, secondo me, per dare impulso al progresso, deve essere posta alla portata di tutti e in modo semplice da fruire.

Le grandi invenzioni hanno sempre sconvolto la società e l’economia in particolare. È facilmente intuibile quante resistenze hanno sempre posto i vari settori dell’economia a certe creazioni e a certe scoperte. Al di là di tali riluttanze, c’è da comprendere che l’opposizione al cambiamento è sempre stata ed è una delle maggiori caratteristiche psicologiche umane. La troviamo espressa nei proverbi: “Chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quello che lascia, ma non sa quello che trova” e nelle storie di vita di ognuno di noi. Quante occasioni abbiamo perso soltanto perché non abbiamo avuto il coraggio di rischiare e accettare il cambiamento?

Telaio moderno

La visione economica del consumo e dell’obsolescenza programmata sembrerebbe insostituibile, pena: la crisi con tanto di ripercussioni dolorose per tutti. Allora, non è possibile uscire dalla staticità di questa visione? Lo spassoso film di Mackendrick sembrerebbe suggerirci questo, nonostante il finale apparentemente positivo e, al contempo, preoccupante. Al termine della caccia che gli davano gli industriali del tessile insieme con i lavoratori (ironicamente, una volta tanto, sia i padroni che i lavoratori sono concordi nel perseguire un unico obbiettivo) Stratton è raggiunto e messo all’angolo. Mentre la folla si avvicina avviene uno strano fenomeno: il vestito comincia a sfaldarsi e così tutti capiscono che il tessuto inventato dal chimico non dura nel tempo. Ognuno prende brandelli di stoffa e se ne va rincuorato: il consumo è salvo. Il giorno dopo Sidney Stratton, licenziato dal posto di lavoro, prepara le sue cose per andarsene. Consulta assorto le note di chimica che aveva appuntato nel tempo e una consapevolezza lo rapisce di nuovo. Il chimico esclama estasiato: “Capisco”.  E con quella espressione in viso s’allontana, con ogni probabilità per riprovarci di nuovo altrove.

Alec Guinness/Sidney Stratton “Ho capito!”

Una delle frasi attribuite con insistenza al vecchio Henry Ford, fondatore dell’omonima fabbrica di auto, è: “L’età della pietra non è finita perché sono finite le pietre”.

Henry Ford

Nulla di più vero. Come umanità siamo passati attraverso molte ere tecnologicamente evolutive: quella della pietra, per l’appunto, quella del bronzo, quella del ferro, fino ad arrivare ai processi industriali più spinti per poi superarli ed approdare all’era postindustriale informatica. Il cambiamento è davvero l’unica costante della vita. Però, non viaggia mai liscio e incontrastato, proprio per la caratteristica psicologica umana della resistenza al nuovo cui accennavo sopra. Gli interessi d’ogni genere e tipo stabilizzatisi nel tempo, insieme con le ansie sollevate dall’ignoto, hanno sempre svolto un ruolo frenante, intralciando lo sviluppo. Se il progresso, non solo tecnologico, ma anche etico, è portato alla disposizione di tutti, allora avremo un avanzamento nella società. La convinzione che il progresso, inteso anche e soprattutto come benessere, non è per tutti è sbagliata. Anzitutto, dobbiamo stabilire cos’è il benessere, perché è un principio molto opinabile e soggettivo. Poi, dobbiamo far sì che questo principio di prosperità, che riecheggia anche nella nostra bella carta costituzionale, possa giungere con facilità ad ogni singolo individuo.

Costituzione della Repubblica Italiana

Oggigiorno, per attuare questa realizzazione dobbiamo abbandonare il vecchio schema dell’economia liberista e, soprattutto, neoliberista, di tipo longitudinale che presuppone la possibilità di poter disporre di risorse infinite o, quanto meno, di crederlo e si pone, come primo fine dell’impresa, di massimizzare il profitto. L’economia del futuro, ma oserei dire già dei nostri giorni, non potrà essere che di tipo “circolare”, rispettosa dell’ambiente e delle sue risorse, quindi sostenibile, ma più di ogni altra cosa dovrà essere etica, cioè la sua attività economica deve creare un impatto positivo su persone e ambiente.

Grafico economia etica

L’Italia è, dopo gli Stati Uniti, il Paese più celere a dotarsi di leggi che disciplinano l’economia etica ed è, venendo ancora subito dopo gli USA, il secondo Paese al mondo a poter annoverare il più alto numero di Benefit Corporations.

Nonostante ciò, queste aziende che abbracciano l’economia etica non sono ancora molto conosciute sia dagli studenti di economia sia dalle facoltà economiche che stentano ad inserirle come oggetto di studio nel piano generale dell’offerta formativa. La spiegazione è la lottizzazione feroce delle facoltà di economia da parte degli esponenti del neoliberismo, quella teoria economica che si fonda sulla menzogna che i mercati hanno la capacità di autoregolarsi e che non c’è bisogno dell’intervento dello Stato il quale deve limitarsi a svolgere generiche funzioni di controllo. La Luiss, la Bocconi, la Ge.Ma. insieme con tante facoltà di economia delle università pubbliche conoscono ben poco delle Benefit Corporations. Nondimeno, la storia economica dell’Italia registra una forte presenza di imprese con attività pubblica.

Storicomovimento cooperativo d’Italia

La scissione tra gli azionisti (i proprietari dell’azienda) e l’alta dirigenza (la gestione dell’azienda), avvenuta con le nuove teorie economiche degli anni Trenta del Novecento dà una svolta al modo di fare impresa. Le aziende sono ormai un semplice prodotto passibile di compravendita, come un qualsiasi articolo commerciale. Le società smarriscono il loro valore sociale.

Trasformiamo le Imprese in Benefit Corporations

I dogmi economici degli anni Settanta del Novecento, che imponevano quale principale obbiettivo dell’impresa di trarre il maggior profitto possibile, professati da economisti statunitensi come Michael Cole Jensen e William H. Meckling e appoggiati da Milton Friedman il quale sosteneva che, dopo tutto, anche la collettività ne avrebbe giovato, si affermano nello scacchiere economico internazionale. Le facoltà di economia di tutto il pianeta non insegnano altro che questi postulati.

Milton Friedman riceve un’onorificenza dal Presidente Usa George W. Bush

Con la grande crisi recessiva del 2008, il principio economico neoliberista entra ancora una volta in crisi (ricordiamoci della grande crisi del 1929 e di quella ancor peggiore del 1937). Finalmente, si prende coscienza che il modello economico neoliberista è erroneo, fragile e toppo vulnerabile. Prima di tutti, comincia ad essere abbandonato proprio dagli Stati Uniti. Dal 2011 in poi a seguito della grande recessione, nella quale siamo ancor oggi infilati, negli Usa, infine, si sono cominciate a definire le prime Benefit Corporations. Tali organizzazioni d’impresa promuovono un nuovo modello economico con alla base l’assioma che l’obbiettivo principale dell’azienda non è trarre dal suo operare il massimo del profitto. In questo decennio, Michael Porter e Mark Kramer, due economisti statunitensi di caratura internazionale, affermano che il modello neoliberista ha fatto il suo tempo e che le imprese che ancora agiscono seguendo il principio della massimizzazione del profitto sono responsabili di gravi problemi sociali, ambientali ed economici propriamente detti. Il consenso sociale ai profitti aziendali di questo tipo è calato vertiginosamente e l’opinione pubblica spinge sempre più per integrare gli affari aziendali con la società, l’utile economico con il progresso e il benessere collettivo.

Protesta contro l’aumento della Co2

Credo che sia importantissimo varare leggi che disciplinino e proteggano sempre di più il modello dell’economia etica. Le imprese che sposano il modello etico non solo avranno come obbiettivo il profitto, ma anche l’impatto che la loro organizzazione e il loro operare avranno sulla collettività. L’azienda etica pone al centro della sua ragione di esistere la funzione sociale, così facendo produce benessere a tutto tondo e per tutta la comunità. Non penserà a dividere meramente il profitto tra i proprietari o i soci azionisti, ma a condividerlo con tutta la collettività.

A livello mondiale qualcosa sembra effettivamente cambiare. In un interessante articolo apparso su la Repubblica il 19 agosto 2019, Luca Pagni informa che duecento tra le più grandi aziende statunitensi hanno stilato una dichiarazione tesa a superare il diktat shareholders first (prima gli azionisti). Questa visone ha condizionato le politiche societarie per lunghi decenni fino ad oggi. La rivoluzione economico culturale sembra proprio che si stia dirigendo verso un principio di economia più etica: il valore va creato anche rispettando l’ambiente, i clienti e le condizioni di lavoro dei dipendenti.

Traspare, però, dallo scritto di Pagni, la possibilità che questa dichiarazione delle potenti multinazionali sia in realtà una mossa politica per anticipare ciò che accadrebbe con l’avvento alla Casa Bianca di esponenti politici progressisti e democratici come Elizabeth Warren e Bernie Sanders. Quindi, un tentativo delle aziende di poter lavorare insieme con i componenti della fazione democratica, in caso di loro vittoria, e non di subire le loro scelte in modo passivo.

Elizabeth Warren e Bernie Sanders: sanità per tutti

Ritornando al tema del film di Mackendrick, l’evoluzione tecnologica che migliora il benessere di tutti è il vero progresso e non potrà essere né elusa né fermata. Le inquadrature finali del film sono molto profetiche e allusive. Le invenzioni rivoluzionarie, possono subire qualche battuta d’arresto poiché danneggiano lo status quo dell’economia, ma non potranno essere arrestate e l’economia dovrà necessariamente adeguarsi.

Economia etica

Per concludere, sono convinto che stiamo vivendo in un’epoca in cui l’economia dovrà necessariamente conformarsi ad un nuovo modello, più etico e meno rivolto all’interesse di pochi. Anche il più fazioso degli economisti iperliberisti come Friedman ha ammesso il fallimento del modello economico puntato sulla massimizzazione del profitto ad ogni costo con benefici solo per pochi. Ormai anche l’Uomo della strada ha capito che seguendo questo schema economico l’economia sul lungo termine si pianta ed entra in una crisi dalla quale non può uscire, se non rivoluzionando il suo modo di agire. Quindi, quanto più l’economia sarà attenta al bene comune, tanto più ne trarrà beneficio, perché dal benessere comune partecipato e continuativo le giungerà la sua linfa vitale.

Bibiliografia

Einstein, A.  1934 ~ Come io vedo il mondo, Newton Compton, Roma, 2016

Pagni, L.  ~ Basta con i profitti ad ogni costo: le multinazionali Usa Guardano ad ambiente e lavoratori, la Repubblica, 19 Agosto 2019