CAVE DOMINUM
Signore, lasciami essere metà dell’uomo
che il mio cane pensa io sia.
(Anonimo)
Nella società delle persone sole uno degli espedienti più diffusi è prendere in casa un animale a cui poter conferire le proprie pulsioni di accudimento. Tra tutti gli animali il primato delle accoglienze è detenuto dal cane, segue a ruota il gatto. L’animale domestico (ma anche quello semplicemente addomesticato, esclusi quelli non addomesticabili) svolge un compito importante a livello psicologico, così importante che è stato introdotto come espediente per la cura di diversi problemi psichici, dall’autismo, ai problemi caratteriali, agli handicap vari, a quelli traumatici e via dicendo. L’animale in sé, quindi, assume un ruolo di “oggetto d’amore parziale”, con tutte le implicazioni affettive che esso comporta.
Oggetto d’amore parziale
Perché uso l’espressione “oggetto d’amore parziale”? In psicologia delle relazioni oggettuali s’intende “oggetto” l’altro da sé, (o parti somatiche di lui/lei) verso il quale poter dirigere la propria libido, intesa non soltanto come pulsione sessuale, ma soprattutto come energia psichica che rinvigorisce il senso della vita e le conferisce forza (vedasi il film Umberto D di Vittorio De Sica). Specifico “parziale” perché, per quanto l’animale abbia una sua psicologia, non è certo paragonabile in quanto a complessità e forza istintuale a quella umana che, per meglio dire, non possiede istinti bensì pulsioni. Ricordo che l’istinto comanda la risposta senza possibilità di scelta, la pulsione dirige, spinge, ma concede una possibilità di preferenza.
Focalizzandoci sul rapporto cane-padrone/a, molte sono le cose da chiarire e anche da contestare, soprattutto a certi padroni/e. Conoscerne la psicologia individuale è importantissimo e riuscire a educarli è un compito non alla portata di chiunque (sto parlando del cane, ovviamente, perché si potrebbe facilmente fraintendere). È per questo che esistono professionisti ai quali sarebbe auspicabile si rivolgesse soprattutto una specifica categoria di possessori: quella che dimostra essere più “animale” dei loro beniamini. In effetti, alcuni proprietari di cani (non tutti per fortuna e il numero di quelli civili noto con piacere che sta crescendo), col loro comportamento dimostrano, essi, di essere i veri animali.
Un gesto di civiltà
In ogni marciapiedi dei quartieri della città di Roma, ad esempio, è fortemente consigliabile guardare dove si mettono i piedi, buche a parte, se non si vuole correre il rischio di pestare un “ricordino” lasciato lì da uno dei migliori amici dell’uomo. Le deiezioni canine sono, in verità, una vera e propria piaga sociale.
Et voilà
Le delibere comunali e i regolamenti regionali di zooprofilassi a nulla servono per arginare la negligenza di alcuni padroni, i quali si comportano in maniera assurda se non addirittura psicopatica. A parte il fatto incivile di lasciare l’escremento sul marciapiedi attentando alla salute pubblica, in certi casi raccolgono la deiezione con l’apposita bustina, la sigillano e poi la lasciano sul marciapiedi invece di gettarla, come è lecito, in qualsiasi secchionetto pubblico dell’indifferenziata, sia esso piccolo sia esso grande. In alcuni episodi, infilano il suddetto involucro nell’apertura delle caditoie, intasandole ulteriormente. Nel primo caso, compiono un danno nei confronti della Natura, perché lasciando a terra la bustina piena di escrementi dei loro beniamini non permettono almeno alla pioggia di lavare via il prodotto dell’intestino canino e inquinano l’ambiente con la plastica del sacchetto. Nel secondo caso, i piccoli “rivestimenti”, ficcati sistematicamente nelle caditoie, le occludono ancor più di quanto non lo sono e non consentono ai grandi acquazzoni di defluire, favorendo così la formazione di veri e propri piccoli laghi nelle strade urbane.
Mi scappa la popò
I cani, oggi, nella nostra cultura dell’ignoranza militante, sono paragonabili alle vacche sacre della religione indù: intoccabili. Nei parchi, al di fuori delle aree a loro dedicate, i migliori amici dell’uomo, soprattutto i molossoidi e quelli di grossa taglia, dovrebbero essere portati al guinzaglio che non superi la misura di un metro e mezzo e addirittura con la museruola, come da delibere comunali che hanno “la pretesa”, pensate un po’, di preservare l’incolumità di tutti i cittadini frequentatori delle belle aree verdi.
Se si prova a protestare verso un possessore villano, mettiamo dopo aver ricevuto un assalto del loro beniamino, richiamandolo alle delibere e ai regolamenti, la migliore delle risposte, se dice bene, è la minaccia di essere fatto sbranare dal loro migliore amico.
Un sorriso per la stampa
Sento dire cose assurde a proposito del rapporto uomo/cane: i cani sono migliori degli esseri umani (di alcuni non stento a crederlo); manca loro la parola (per fortuna del proprietario); è fedele e non ti tradisce mai (alcune proprietarie sono convinte). Supponiamo che in un momento d’ira, dai un calcio al tuo cane, se ti è davvero affezionato, esso torna da te. Non sarei così sicuro, nella stessa situazione, che un umano si comporti nell’identico modo (a meno che sia un masochista).
Ci sono proprietarie che baciano in bocca il loro cane chiamandolo amore mio e che, alle giuste osservazioni di qualcuno, rispondono che la bocca del loro cane è molto meno schifosa di quella di certi uomini e non ho dubbi a tal proposito, ma aggiungerei anche di certe signore. Io sono convinto che queste donne bacianti abbiano bisogno di un urgente supporto sociopsicologico. Se la bocca umana è un coacervo di batteri, virus e leviti (in effetti il bacio, lungi da essere l’apostrofo rosa tra le parole t’amo, col beneplacito di Edmond Rostand, è un atto di estrema fiducia) figuriamoci quella di un cane. Alcuni organismi presenti nella saliva del cane non sono affatto tollerati dall’essere umano. Il rischio è di contrarre alcune terribili malattie portate da batteri zoonotici quali il clostridium, l’escherichia coli, la salmonella o il campylobacter.
Amore mio
Possiamo riscontrare altri casi spia, a proposito di oggetto d’amore parziale, che inducono subito ad una riflessione. Durante l’inverno, si incontrano barboncini col cappottino colorato a tartan, stivaletti-galosce alle zampette e, addirittura il cappelletto sul capo. Non è vano notare che il barboncino è uno dei cani provvisto della migliore “pelliccia” naturale contro il freddo.
Ma che freddo fa
Un giorno incontrai al parco una giovane e piacente signora trascinata in passeggiata da cinque cani che provava a tenere al guinzaglio. Le porsi i miei complimenti, chiedendole se fosse una dog sitter. No, sono miei, fu la risposta. In effetti, qualcuno che la conosceva mi disse che viveva sola nel suo appartamento con i suoi “amori”. Immagino soltanto il da fare. Cosa non si farebbe per esorcizzare il vuoto delle nostre esistenze.
Amori miei
Tutti questi esempi sono il sintomo di un incontestabile crollo della civiltà occidentale che non procrea più figli (e quindi è destinata a scomparire nel giro di poche generazioni, se non s’inverte drasticamente la tendenza), ma si procura cani o animaletti da compagnia per supplire alla carenza affettiva che l’infertilità socialmente indotta e coatta inevitabilmente “genera”.
Tornando al cane che espelle le sue feci sul marciapiedi, c’è da aggiungere che è una metafora dei nostri tempi. In particolare, la deiezione canina imbustata e lasciata per strada, sulle panchine o, peggio, infilata nelle caditoie, è lo specchio della decadenza dei nostri costumi, simbolo della solitudine dell’uomo moderno e della sua infertilità. Individuo troppo di frequente impunito, anzi protetto dalla stessa società che lo ha generato, dallo stesso Stato incapace ormai di qualsiasi controllo, perché privatizzato, in quasi ogni sua funzione, dalle esternalizzazioni sfrenate. Il suo pet, senza alcun tipo di eventuale controllo, defeca trionfante sul bene comune: il marciapiedi, ad affermare la glorificazione del vuoto, del nihil, sulle macerie culturali di questa nostra sventurata collettività. L’ordine pubblico, pur non essendo ancora del tutto privatizzato, ha perso ogni forza e ogni presa di auctoritas nelle menti delle persone proprio a causa delle privatizzazioni e delle esternalizzazioni smodate. Tanto per fare un esempio, oggi dire ad un genitore che i tuffi in piscina sono vietati dal regolamento interno della gestione e da una legge nazionale e che sarebbe protettivo per il proprio figliolo non farglieli eseguire, al meglio che vada suscita una risata.
In conclusione, il comportamento del tutto scorretto di questi proprietari è dovuto alla loro imperante ignoranza sia di conoscenza dei loro beneamati animali sia delle delibere comunali e dei regolamenti zooprofilattici regionali sia, in alcuni specifici casi, del loro stato di salute mentale del tutto traballante. È superfluo menzionare che, nella città di Roma, completamente fuori controllo in ogni campo, pretendere il rispetto di delibere e regolamenti vari è del tutto utopico. Gabriele D’Annunzio, su uno dei due pilastri in pietra all’ingresso della sua villa toscana della Capponcina, procurò di posizionare una targa in marmo con questa scritta dal “vago” sapore minatorio: Cave canem ac dominum.
Attenti al cane, ma soprattutto al padrone
Mai avvertimento fu più profetico e lungimirante. Forse il “sommo vate”, come amava considerarsi lui, voleva dare un ammonimento alla sua dirimpettaia (gli abitava in una villa proprio di fronte) Eleonora Duse, attrice famosa e sua amante dalla psicologia criptica e dai gusti amorosi non molto estetici (Gabriele D’annunzio non era certo un Adone). Forse D’annunzio, inconsciamente, voleva lanciare un comprensibile avvertimento ai frequentatori della sua produzione letteraria, nel senso di starne alla larga. Non lo sapremo mai. Di certo la sua provocatoria frase, dalla quale ho tratto ispirazione per il titolo di questo articolo, è da prendere in seria considerazione da noi poveri succubi della ormai dilagante tirannia della rozzezza e della maleducazione.