Il pifferaio magico
Di Ivan Battista
Vieni via di qui
Niente più ti lega a questi luoghi
Neanche questi fiori azzurri
(Paolo Conte)
La fiaba de Il pifferaio magico (Der rattenfänger von Hameln, Il cacciatore di ratti di Hameln, nella versione più antica tedesca e The pied piper, Il pifferaio variopinto, in quella britannica) è carica del fascino del mistero. È un racconto tradizionale della bassa Sassonia, tramandato oralmente, che sembra risalga addirittura la XIII secolo. Ne furono rapiti i fratelli Grimm, che la trascrissero nella loro raccolta sistematizzata, il geniale Wolfgang Goethe, che ad essa si ispirò per una sua poesia e il poeta vittoriano Robert Browning, che ne trasse spunto per un poemetto, in verità allegro in questo caso, dedicandolo al figlioletto malato di un caro amico.
La trama è semplice, ma al contempo “perturbante”. Nella cittadina tedesca di Hameln (o Hamelin) infestata dai topi, il borgomastro ingaggiò un pifferaio che dichiarava di essere in grado di liberare il paese dagli sgradevoli e pericolosi animaletti.
I due pattuirono una cifra e il pifferaio, al suono del suo strumento, radunò tutti i roditori i quali lo seguirono fino al fiume Weser dove, entrati nelle sue acque, annegarono. Quando il musico andò a reclamare il dovuto, il borgomastro e tutta la cittadina si rifiutarono di pagare la cifra concordata, allora il pifferaio riprese a suonare il suo strumento radunando tutti i bambini del borgo e portandoli via con sé, allegri e danzanti. Raggiunse una montagna che si aprì nel suo fianco come una caverna nella quale entrarono i fanciulli e che si richiuse alle loro spalle senza lasciare traccia di nulla. Furono risparmiati, sembra, un bambino zoppo ed uno cieco che si erano attardati a causa del loro handicap nel seguire il suonatore. Come dire che, spesso, sono proprio in nostri limiti a risparmiarci esperienze disastrose.
Ogni volta che rileggo questa fiaba ripenso a quanti pifferai magici conosco e ho avuto modo di vedere in azione nella mia vita. Ci sono pifferai politici, pifferai leader tra conoscenti e pifferai psicologici che invece del piffero fanno risuonare parole alle masse per sedurle e affascinarle, in modo da condurle nel luogo importante dei loro interessi, fossero essi materiali o meramente psichici. La cosa biasimevole è che lo fanno portandoli a credere che ciò che dicono e indicano è assolutamente a favore del loro bene. Allora, li si può vedere salire sul palcoscenico come delle superstar pronte ad illuminare le ombre delle coscienze, schiarendone le incertezze e i dubbi. Non solo tirano fuori teorie psicologiche semplicistiche e del tutto opinabili, ma sono presuntuosamente convinte, dal loro più o meno consapevole narcisismo, che ciò che predicano sia assolutamente funzionale alla crescita e all’affermazione. Questi imbonitori delle folle sono dei performerattoriali decisamente in gamba. Sanno come tenere sotto scacco l’attenzione delle moltitudini e sono dei grandi studiosi della comunicazione verbale e non verbale. Sarebbero anche degli ottimi professionisti se non fosse per la loro Ombra, libera e non integrata, che scurisce e rende inutili i loro aspetti più in luce. La posizione da sfruttare a tutto personale vantaggio è quella del sotér, del salvatore, perché il mondo è pieno di persone “bambine” che non aspettano altro nella vita che un pifferaio sicuro di sé che li prenda per fascinazione e li porti nel luogo dei loro sogni.
Il successo, l’amore, il denaro, le amicizie, il lavoro migliori sono le mete che fanno baluginare questi pifferai. Collodi, in Pinocchio, definiva tale luogo, proporzionato alle aspettative delle menti bambine, non a caso “Paese dei balocchi”. Sappiamo tutti, però, come va a finire al povero Pinocchio e al suocompagno di sventura Lucignolo.
Nella psiche di ognuno di noi esiste un archetipo mentale definito Puer dallo psichiatra svizzero Carl Gustav Jung, così come esiste l’archetipo dell’Ombra cui sopra accennavo. L’Ombra potremmo spiegarla come “tutto ciò che non vorremmo essere e invece siamo”, il Puer come un bambino pieno d’entusiasmo, sempre pronto al volo, a lasciarsi trasportare dall’ebrezza della fantasia, a guardare continuamente in alto nel cielo. Se queste istanze psichiche non saranno integrate, cioè se ognuna non s’incastrerà a dovere, compensandosi, nell’altro suo archetipo corrispettivo, l’archetipo dell’Eroe per l’Ombra e l’archetipo del Senex per il Puer, il dolore e la sofferenza saranno pronte a manifestarsi. L’Eroe, con la sua dedizione sacrificale al bene della sua gente, integra e depotenzia a dovere l’egoismo e la primitività dell’Ombra; il Senex integra col suo ragionamento saggio e lungimirante, compensandolo, il fervore impaziente e sconsiderato del Puer.
Il mondo è composto da luce ed ombra. Ognuno di noi è costituito da luce ed Ombra perché veniamo dal buio alla luce e andremo via dalla luce al buio eterno. Nel vecchio testamento questo aspetto chiaro scuro dell’essere è ben presente. Dio comprende in sé la luce della bontà e l’Ombra della malignità. È il nuovo testamento che scinde la totalità divina di luce ed Ombra, lasciando la prima nel chiarore dei cieli e sprofondando, col tradimento di Lucifero, la seconda nella dimensione ctonia dove, per l’appunto la luce (in questo caso simbolicamente divina) non arriva. L’Ombra, però, è importante perché senza di essa non esiste l’essere. Nell’ultima versione del Peter Pan di James Matthew Barrie, Peter incontra Wendy proprio perché alla ricerca della sua Ombra perduta. L‘eterno fanciullo entra in relazione con la dolce ragazza poiché lei la cuce, riunendogliela al corpo.
Anche nel Peter Schlemihl di Von Chamisso, il personaggio principale, Peter Schlemihl per l’appunto, ha insuperabili problemi di relazione poiché sguarnito della sua Ombra che aveva barattato per una borsa che forniva continuamente monete d’oro, offertagli da un uomo con la giacca grigia (il demonio).
Ogni essere, per esistere, deve avere per forza la sua Ombra dalla quale non può separarsi. Allora, ciò che mi sento di suggerire con forza è di non andare alla ricerca del sotér, del salvatore ipso facto, al di fuori di se stessi. Tutto ciò che serve alla nostra “salvezza” l’abbiamo già dentro di noi, la cosa essenziale che si pone, però, è la crescita attraverso la ricomposizione migliore delle proprie parti psichiche. Certo, in alcuni casi specifici c’è bisogno di un aiuto, ma è di un catalizzatore di cui si ha necessità. Uno specialista in grado di aiutare ad aiutarsi, magari con una buona analisi psicologica e non con proclami luccicanti che inizialmente possono anche entusiasmare abbagliandoci, ma che sul lungo periodo lasciano il tempo che trovano. Un professionista preparato che sappia far riconoscere l’Ombra personale e, aiutando ad integrarla nelle proprie istanze psichiche, farla diventare il vero motore positivo dell’esistenza.
Solo così si potrà compiere il sostanziale salto di qualità verso l’individuazione che è il vero successo di ogni vita. Una volta compiuto il primo passo verso la “salvezza” che consiste nel riconoscimento dell’Ombra e nella sua integrazione, avvieremo la rinuncia al salvatore esterno per quello interno a noi stessi. Il percorso, a questo punto, diventa più praticabile e agevole. Non avrai altro salvatore all’infuori di te, potremmo ben dire, soprattutto se questo salvatore considererà il suo prossimo come una risorsa con cui cooperare e non quale massa inconsapevole ed ingenua da sfruttare.
In conclusione, non lasciamoci incantare dai pifferai magici e dalle loro “policrome” seduzioni, le cose che affermano, il più delle volte, sono banalità scontate che lavorano soltanto a loro favore. Impariamo, in definitiva, che per ogni luce che illumina c’è un’Ombra che si proietta e che quest’Ombra va studiata, analizzata e capita per poterla integrare, assimilandola al meglio per farla diventare il vero, inesauribile propellente in grado di spingerci con decisione verso l’essenziale comprensione del senso della nostra vita.