La gestione del conflitto nel posto di lavoro
Concordia parvae res crescunt, discordia maximae dilabuntur.
Bellum Iugurthinum, Sallustio, (10,6).
Con la concordia le piccole cose crescono, con la discordia le più grandi sfumano.
Premesso che non è possibile essere esaustivi in poche righe su un tema così complesso, proverò a fermare alcuni concetti, spero interessanti per il lettore, circa la gestione del conflitto nel posto di lavoro.
Ai nostri giorni, pochi sono i lavori in cui si procede da soli. Perfino un chirurgo deve potersi relazionare con una squadra di specialisti che operano insieme con lui durante un intervento. Chi più chi meno, in ambito lavorativo, dovrà confrontarsi con l’altro, oltre che con la propria “alterità” interiore. È proprio da questo confronto, con l’altro e con la propria “alterità”, che frequentemente parte il conflitto. Una delle micce più comuni che attizzano il fuoco dell’incomprensione e dello scontro in un gruppo, sia esso lavorativo che di semplice relazione, è il parlare male di qualcun altro, quasi sempre all’insaputa dell’interessato.
Chi parla male di qualcun altro alle sue spalle è un fallito sia in senso esistenziale sia in senso professionale. Il dire male di un altro di nascosto è riconducibile ad un meccanismo psicologico denominato proiezione psichica. Tale proiezione psichica ha a che fare con una importante disistima di sé del calunniatore. Spesso, soprattutto a livello inconscio, chi denigra l’altro a sua insaputa, ha un’idea squalificata rispetto al proprio valore. Porre addosso all’altro il mal dire, allora, acquisisce una importanza egodifensiva per lo “sparlatore”. Cioè, come denigratore, capto e definisco le manchevolezze o i limiti dell’altro proprio perché, con ogni probabilità, essi hanno a che fare con me, cioè sono cose che porto già io nella mia struttura della personalità. In effetti, Il denigratore non ha una buona considerazione di sé. Agendo in questo modo, il maldicente scarica, proiettandola sull’altro, l’angoscia che gli deriva dal fatto di percepirsi inadeguato o insufficiente.
Una seconda causa del conflitto nell’ambito di una dinamica di gruppo nel posto di lavoro, ma anche, ripeto, di un qualsivoglia gruppo, sono le differenti visioni del mondo che possono essere: esistenziali, politiche, di competenze relative alla modalità di intervento nella risoluzione dei problemi, di filosofia, di vita pratica etc.
Anche nelle guerre i princìpi che le muovono, secondo il polemologo psicanalista Claudio Risé, non sono gli interessi o la ragione, ma sono le weltanschauung, le visioni del mondo, le convinzioni profonde, le passioni.
“Per fare la guerra servono di più che ragioni (…) o interessi: servono delle visioni del mondo, delle passioni che abbiano per oggetto una visione totale dell’uomo e della vita.” (Risé, C., 1997)
L’opportunista, ad esempio, confligge con chi sposa la correttezza, il pragmatico con l’idealista, il maleducato col beneducato, l’arrogante con l’umile, il prepotente col debole, l’autoritario col democratico, il violento col mite, il carrierista egoista col collaborativo altruista e così via.
Gestire il conflitto in un gruppo di lavoro non è affatto facile e richiede competenza e grande equilibrio psicologico. Il gestore deve aver svolto un training che lo abbia preparato adeguatamente a tale compito. Spesso, però, i vertici aziendali o pubblico amministrativi non hanno la perizia necessaria ad affrontare una tale complessa mansione e restano vittime, insieme con i componenti del gruppo da gestire, della loro stessa incapacità.
Le dinamiche di un gruppo di lavoro, alla fin fine, rispondono alle leggi delle dinamiche del gruppo famigliare. Considerando la gerarchia in ambito lavorativo, allora, il direttore o il responsabile sarà percepito dai sottoposti come un “genitore” e le problematiche che potrà avere con essi, in sostanza, non differiscono molto da quelle che un padre o una madre possono avere con i loro figli. I subalterni, ad esempio, oltre alla possibilità di incomprensione con il dirigente (conflittualità verticale), dovranno confrontarsi con i pari grado percepiti come “fratelli” in competizione per la rincorsa all’attenzione, al riconoscimento e all’affetto genitoriale (conflittualità orizzontale). (Bowen, M., 1979)
Qui è utile accennare ad altre due importanti risposte psicologiche che prendono il nome di invidia e di gelosia. Queste dinamiche psichiche entrano in gioco nei gruppi e nei rapporti inter-relazionali tanto più frequentemente quanto più sono irrisolti i flussi di comunicazione sia del gruppo sia dei singoli componenti.
L’invidia, che secondo alcuni autori psicologici è uno dei primi sentimenti umani (Klein, M., 1957), è un “gioco” che si gioca a due. Una persona invidia l’altra per qualcosa che quest’altra possiede e che lei non ha. Secondo la Genesi (3,1-6), il serpente tentò Eva e Adamo, e vinse, proprio facendo leva sull’invidia provocata nei due nostri progenitori nei confronti del sapere infinito di Dio. Il frutto dell’albero proibito è un’allegoria della conoscenza (Non morirete affatto! Anzi…diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male.).
La gelosia, invece, è un “gioco” che si gioca a tre. Una persona è gelosa di un terzo rispetto alle attenzioni o all’affetto dell’altro. Sempre nella genesi Caino uccide Abele per gelosia (Genesi, 4, 8). (…Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta.).
Si può dire che il comportamento di Dio, in questo caso, non fu del tutto saggio. Caino, sappiamo, ci rimase molto male, tanto da farsi possedere dalla rabbia gelosa nei confronti del fratello e ucciderlo. Un buon conduttore di un gruppo di lavoro non deve mai esprimere preferenze unilaterali nei confronti di alcun componente, eccetto correlandole alla squadra e dare rinforzo all’impegno profuso da tutto l’ensemble.
L’invidia e la gelosia sono dinamiche psichiche importanti da conoscere nel giusto modo se si vuole intervenire correttamente per disinnescarle.
Portare con calma e con dolcezza a conoscenza degli eventuali soggetti coinvolti le due soprannominate dinamiche e i loro meccanismi psicologici è il passo soterico che riuscirà ad abbattere la sofferenza e il dolore di cui esse (dinamiche) sono portatrici.
Nella gestione di un gruppo di lavoro e dei suoi disaccordi interni, molto importante è lo stile di leadership del dirigente/responsabile. Uno stile autoritario e impositivo confliggerà sicuramente con chi ha problemi con l’autorità. In genere, tale stile di conduzione può avere risultanze positive nel breve termine e in situazioni in cui bisogna essere tempestivamente decisionisti, ammesso e non concesso che le decisioni prese siano giuste e risolutive. La leadership autoritaria, però, non paga sul lungo termine. A nessuno piace che gli s’impongano le cose d’autorità. Il dirigente/responsabile autoritario, allora, avrà buon gioco nel breve termine, in accordo con la sua “presenza” sia essa fisica che mentale. Il sottoposto eseguirà le sue disposizioni per timore e non per partecipata collaborazione. Nessuno, però, può tenere sotto controllo tutto, men che meno gli accadimenti di una Direzione sia essa di un’impresa privata sia di una Amministrazione pubblica. Nel lungo termine, quindi, è inevitabile che si verifichi una mancanza, una disattenzione, una dimenticanza o un errore da parte del manager. È allora che la “vendetta” del subordinato si farà sentire perché non interverrà, anche se può, a parare il colpo portato dalla situazione.
In effetti, lo stile di leadership autoritaria, quella da “sergente di ferro”, nella conduzione dei gruppi sono decenni che non ha più alcun successo nella gestione del Personale in aziende pubbliche o private. Detto stile è stato abbandonato dalle Organizzazioni del lavoro nello scantinato buio dove si pongono le cose che non servono più. Lo stile di leadership migliore è quella autorevole, dove il responsabile/dirigente possiede una indiscussa competenza. Egli non “vessa” impositivamente i suoi collaboratori di grado inferiore, ma li coinvolge nella conduzione, responsabilizzandoli e valorizzandoli, lasciandosi la prerogativa ultima delle decisioni più difficili e sofferte da prendere.
Lo stato psicologico naturale dell’essere umano, secondo alcuni studiosi (Hillman, J., 2004), non è pacifico, ma di ostilità. Il Sapiens ha sempre conflitto per garantirsi la sopravvivenza. In una visione stocastica (cioè a dire circolare) e non lineare della filogenesi, il sapiens si è scontrato sicuramente con altri ominidi o esseri umani suoi contemporanei come il Neanderthal, il Desinova, l’Heidelbergensis con Dna motocondriale molto simile se non addirittura quasi identico al suo. Il conflitto è alimentato anche dalle visioni del mondo e dalle convinzioni personali più profonde. Dallo studio dei reperti paleoantropologici, risulta che il Neanderthal, ad esempio, fosse un habilis, seppelliva i suoi morti e si riuniva in famigliole di circa 7/8 individui. Il Neanderthal non aveva molto sviluppato, però, il pensiero logico, astratto, simbolico e previsionale. Pensiero, invece, di cui era molto fornito il Sapiens. In uno scontro a due tra Neanderthal e Sapiens, ad esempio, non credo che il Sapiens avrebbe avuto molte possibilità di vincere, poiché fisicamente più “debole”. Giacché, però, il suo pensiero simbolico lo portava a vivere una dimensione più “religiosa”, i suoi gruppi si componevano di circa 300/400 elementi, tutti coesi intorno ad un principio fideistico da adorare che scandiva e regolava i rapporti tra i componenti, probabilmente anche di mutuo e reciproco aiuto. Va da sé che il Sapiens, nel lungo termine, ha avuto la meglio per numero e non per forza fisica. Egli, infatti, sembra sia stato il killer più spietato di tutti i suoi ominidi o esseri umani contemporanei.
Tornando alla gestione del conflitto nel posto di lavoro, concludo sostenendo che la migliore conduzione è da intendersi quella che pone ai primi posti il rispetto, la risoluzione delle dinamiche più pericolose, come l’invidia e la gelosia, l’atteggiamento di scambievole aiuto e la serenità psicologica dei componenti il gruppo di lavoro. Sarà l’impegno del dirigente/responsabile più preparato, la sua disposizione all’ascolto, alla comprensione delle dinamiche negative ciò che porterà alla loro ricomposizione. Il dirigente/responsabile dovrà puntare molto anche sulla motivazione e sulla lode da conferire sicuramente al singolo; strumenti, questi ultimi, necessari e importanti, ma mai utilizzati senza coinvolgere il “sistema squadra”.
BIBLIOGRAFIA
Bowen, M. 1979 Dalla famiglia all’individuo. Astrolabio, Roma.
Hilman, J. 2004 Un terribile amore per la guerra, Adelphi Edizioni, Milano, 2005
Klein, M. 1957 Invidia e gratitudine, Giunti Editore, Firenze, 1969
Montessori, M. 1949 Educazione e pace, Edizioni Opera Nazionale Montessori, Roma,2004
Risé, C. 1997 Psicanalisi della guerra, Edizioni Red, Como, 1997
Speltini, G. 2002 Stare in gruppo, Il Mulino, Bologna