Cuore straordinario
Il lavoro nobilita l’Uomo, ma il troppo lavoro può ucciderlo. Nel 2011, l’Istituto universitario di medicina occupazionale di Helsinki (Finlandia) con un suo gruppo di ricercatori, in stretta collaborazione con lo University College di Londra (Gran Bretagna), ha condotto un’interessante indagine scientifica. I medici di questi due Istituti hanno seguito, longitudinalmente e di continuo, per dieci anni, settemila impiegati della capitale britannica. Il fine della ricerca era di riuscire a stabilire con certezza se tra le ore lavorate quotidianamente e il rischio cardiovascolare potesse esserci un rapporto. I risultati, pubblicati negli Annals of Internal Medicine parlano chiaro: restare al lavoro oltre l’orario dovuto può causare problemi gravi, aumentando il rischio di un incidente cardiovascolare. La cosa sorprendente è che questi danni al cuore possono insorgere indipendentemente dal fatto che si abbia la pressione alta o il colesterolo fuori controllo. I lavoratori da dieci ore al giorno vedono aumentare del 45% la probabilità di subire un infarto o un ictus. Per quelli da undici ore e oltre la percentuale si eleva al 67%. Qualche anno addietro, lo stesso gruppo di ricercatori aveva provato che erano sufficienti tre ore di straordinario al giorno per aumentare il rischio d’infarto del 60%.
Il geniale architetto statunitense, di origine estone, Louis Khan era noto per la sua energia e la sua incessante attività lavorativa. A detta di chi collaborava con lui, aveva la capacità di svolgere una mole di lavoro impensabile per chiunque e riusciva a gestire molti impegni quasi contemporaneamente. Questa sua frenesia si riscontra anche nella sua vita privata: aveva simultaneamente tre “mogli” (una ufficiale e due non ufficiali) dalle quali ebbe un figlio per ognuna. Alcuni stretti collaboratori del creativo architetto dovettero lasciarlo, poiché scelsero, al lavoro no stop, una maggiore attenzione per la famiglia (una) e la cura dei suoi affetti. Khan fu trovato nel 1973 in una toilette per uomini nella Pennsylvania station di New York stroncato da un infarto. Tornava da un viaggio in Bangladesh dove era totalmente dedito, fin dal 1962, alla costruzione del National Assembly Building, sede del parlamento di quello Stato, completato nel 1983, nove anni dopo la sua morte.
Al di là di qualsiasi giudizio morale sulla sua vita privata, che non mi interessa, credo sia importante rilevare, come evento esemplare, le cause del decesso di Louis Khan. Molti uomini di genio non riuscirono a gestire in modo decente i rapporti con le loro famiglie e vissero con disordine e contraddizione i loro ritmi affettivo-amorosi. Mi sovviene la vicenda di Leone Tolstoj e l’analogia del suo trapasso, legato anch’esso ad una stazione ferroviaria, quella di Astàpovo. Curiose, ma certamente significative, le sue ultime parole raccolte sul letto di morte: “Svignarsela! Bisogna svignarsela! … La verità…io amo tanto…come loro”.
Se s’investe massimamente la libido creativa nell’opera (che sia d’arte o no) è inevitabile dover notare che ne resta ben poca da dedicare, in modo corretto, agli affetti e agli amori. Nell’esempio di Khan, non è superfluo ricordare che le due amanti, folgorate probabilmente dall’imprendibile ed oltremodo energetica personalità del grande architetto, condussero una vita alquanto solitaria e non smisero mai di amarlo. Lavorare tanto o lavorare il giusto? Questo è il problema. È più giusto abbandonarsi totalmente al proprio lavoro/amante oppure concedergli la quantità di tempo che permette, però, di dedicarsi anche ad altro? Sappiamo per certo, ormai, che una vita affettiva appagante e “disciplinata” è il miglior elisir contro i danni alla salute e, in particolare, al miocardio.
Sloan Wilson, nel suo romanzo L’uomo dal vestito grigio, mette in evidenza le differenze di vita tra l’imprenditore della United Broadcasting Corporation mr. Hopkins, le sue dinamiche famigliari ipocrite ed evanescenti e Tom Rath, suo collaboratore, che sceglierà la famiglia e il suo “calore conformista” al potere ed al successo lavorativo, nonostante le frustrazioni, i sensi di colpa riemergenti da un lontano passato e le ansie esistenziali dovute alla prospettiva di una vita “grigia”, per l’appunto.
Anche Furio Colombo, formidabile uomo di cultura, s’interrogava in Carriera, vale una vita?, un suo libro del 1989, su quale fosse la scelta giusta da fare. Come in tutte le cose, con ogni probabilità, è nel mezzo che si pone la virtù.
Anche se si ha la fortuna di avere come lavoro il proprio più bel gioco (Confucio suggeriva: “Fai del tuo più divertente gioco il tuo lavoro e non lavorerai nemmeno un giorno nella tua vita”), non bisogna tralasciare aspetti importantissimi per la salute e la forma psicofisica. Le relazioni affettive, la loro migliore gestione e, più in generale, le attenzioni che si devono a se stessi e alle proprie emozioni giocano un ruolo fondamentale nelle nostre vite. Il tempo che è loro dovuto deve essere assolutamente preservato. Infatti, è assodato, da ricerche scientifiche multiple, che i single emotivamente e affettivamente trascurati si ammalano e muoiono prima rispetto a persone che hanno una vita sentimentale soddisfacente e stabile. Per lo stesso motivo, ma in sovraccarico, è stata riscontrata una percentuale altissima di infarti in uomini di mezza età che hanno storie “parallele” illecite di vita amorosa. In conclusione, risulta evidente che il cuore non gradisce “lo straordinario”.