ISONOMIA
(…) la costituzione repubblicana è l’unica perfettamente adeguata
al diritto degli uomini, ma è anche la più difficile da istituire e più
difficile ancora da conservare, tanto che sono in molti ad affermare
che questo dovrebbe essere uno Stato fatto di angeli, perché gli uomini
con le loro tendenze egoistiche non sono all’altezza di una costituzione
di forma così sublime.
Immanuel Kant, Per la pace perpetua.
Isonomia (ἰσονομία) è nella polis greca, fin dall’epoca arcaica, la parola che incorpora il principio dell’eguaglianza di ogni cittadino davanti alla legge e dell’equa attribuzione a costoro di prerogative e potenzialità. Siamo nell’Atene del V secolo avanti Cristo, all’indomani dell’annientamento del tiranno Pisistrato e dei suoi discendenti (Ippia). Fu Clistene, di famiglia aristocratica e prosecutore delle riforme di Solone, anch’egli un aristocratico piuttosto idealista, almeno se seguiamo ciò che ci tramanda Aristotele (Costituzione degli Ateniesi cap. 21), ad applicare nella democrazia ateniese il principio isonomico. Non suoni strano che Clistene e Solone, due aristocratici, siano entrambi idealisti e rivolti all’attuazione della democrazia. Ad esempio, Nel XVIII secolo, abbiamo avuto il nobile francese Lafayette, e nel XIX il nobile russo Lev Tolstoj, militare l’uno, romanziere l’altro, a parteggiare, diciamo così, per un ideale democratico, più dalla parte del popolo.
Assolutamente il contrario di ciò che sta accadendo da decenni in politica nel Bel Paese in mano, ormai, a persone di infima lega che, mistificando i loro ideali spacciandoli per impegno verso il bene comune, in realtà non pensano altro che ad arricchire se stessi, buggerandosene altamente dell’impegno preso circa la gestione della Cosa pubblica da svolgere con disciplina e onore (art. 54 Costituzione italiana).
Non sono così sprovveduto da credere che la democrazia ateniese sia da paragonare alla nostra moderna concezione di democrazia data dalle Costituzioni che vanno dal XVIII ad almeno tutto il XX secolo. La democrazia ateniese era di tutt’altro calibro, anche se conteneva in nuce già tutti i principi democratici più sostanziali. Ci basti ricordare che nella avanzata società greca ateniese, definendola con ironia un po’ “maschilista”, le donne, tanto per dirne una, non potevano votare né partecipare alla vita politica. Alcune eccezioni esistevano. Ogni tanto emergeva qualche rarissima personalità femminile come, ad esempio, Aspasia di Mileto, concubina di Pericle che da lei, sembra, fu molto influenzato anche in politica. Aspasia (dal verbo greco ἀσπάζομαι, aspàzomai: Amare, trattare con dolcezza, cioè colei che ama e che tratta con dolcezza) era una etèra, una di quelle donne non consacrate al sacro fuoco della casa, ma dedite all’intrattenimento maschile di altissimo livello. Per questo, dovevano essere sia presentabili con vesti lussuose, ma anche all’altezza di alte e colte conversazioni oltre, ovviamente, ad essere preparate dal punto di vista erotico.
Anche in urbanistica, ad Atene, si proverà a rispettare il principio isonomico, in gran parte riuscendo a rispettarlo. Influenzata dalla visione greca isonomica, la volontà di considerare ogni classe sociale quale partecipante al benessere collettivo trova spazio, ad esempio, nelle realizzazioni dei rioni delle città rinascimentali. Il Rinascimento è un periodo “italico” culturalmente molto valido e che, guarda caso, si rifaceva molto all’età classica sia latina sia, soprattutto, greca (Graecia capta, ferum victorem cepit et artes intulit agresti Lazio. Orazio, Epistole, libro secondo, esametro 156). Una volta conquistata, la Grecia conquistò il fiero vincitore e introdusse le arti nel rustico Lazio.
A sua volta la cultura greca derivava e trattava molto con quella egizia. Quindi, dalla cultura egizia alla classica greca a quella latina: un bel giro! Ribadisco, però, che fu il pensiero politico democratico greco ad influenzare la realizzazione di settori delle città differenti per forma, ma “uguali” in quanto luoghi rispettati e caratteristici per storia e genius loci, in grado di conferire forte identità e spirito d’appartenenza.
Oggi, invece, nelle nostre città italiane, ma anche estere, prede di una concezione urbanistica da saccheggio neoliberista (dove ha contato e conta il profitto per il profitto e null’altro), si è verificato e continua a verificarsi una sperequazione di progettazione e attuazione urbanistica che chiamare criminale è senz’altro eufemistico. Il principio dello sfruttamento indiscriminato dell’ettaro quadro, del metro quadro, o addirittura del centimetro quadro, ci costringe quotidianamente al confronto col brutto. Ciò avviene, sia nella realizzazione di nuovi lotti cittadini, sia nel tentativo, a volte peggiore, della sua rigenerazione; luoghi nei quali una moltitudine di esseri umani vive ammassata. Quartieri e quadranti delle città ormai deturpati con attuazioni scellerate, quasi fossero tanti sfregi sul volto delle persone a noi più care, ci portano a provare un sentimento di tristezza che facilmente può indurre in depressione o addirittura in collera. Luoghi dai tanti sospiri psichici repressi pronti ad esplodere come un tuono non appena se ne attivi l’innesco. Gli abbandoni manutentivi completi e le improvvise guerriglie urbane, in queste zone, sono ciclotimie sociali che si ripropongono con impressionante regolarità. Una città, o settore di essa, se non pensata bene e realizzata meglio è sicuramente responsabile non dell’incontro tra le persone che lo abitano, quanto piuttosto dello scontro tra loro, con elevata conflittualità interpersonale e gruppale.
Quanto l’ambiente influenzi l’umore dell’essere umano è ormai stato accertato da studi ultradecennali sia dalle neuroscienze sia dalla psicologia della percezione sia da quella ambientale. Lascio a chi ha più voglia di approfondire l’argomento la scelta di leggersi qualche buon libro al riguardo, ce ne sono ormai tanti in vendita nelle librerie.
Concludo affermando che la risposta a tale degrado civico non può che passare attraverso l’impegno e la consapevolezza intese quali patrimonio comune. La maleducazione che constatiamo ad ogni pie’ sospinto, camminando nei siti delle nostre città italiane, è dovuta alla non comprensione di un intendimento psicopedagogico tanto semplice da capire quanto facile da ricordare: “Le pertinenze esterne alle nostre case non è che, non appartenendo a nessuno, possiamo trattarle come vogliamo. Appartengono a tutti, sono anche nostre e, dunque, dobbiamo trattarle con la stessa attenzione e riguardo che abbiamo per i nostri ambienti interni”. A meno che non si sia degli emeriti sporcaccioni, dentro e fuori, la qualcosa, in alcuni casi, è assolutamente certa.
In queste eventualità, qualsiasi principio di isonomia, qualora fosse stato urbanisticamente rispettato, è reso vano da azioni anche piccole, ma sconsiderate e oltraggiose verso il rispetto che si deve al bene comune. L’atto di gettare a terra la bustina di plastica contenente la merendina o il mozzicone di sigaretta è un gesto incivile e denuncia una profonda ignoranza, almeno rispetto a quanto sono in grado di inquinare le acque e l’ambiente questi piccoli oggetti di scarto quotidiano. Ciarpami, indicatori di uno stato educativo diffuso e assolutamente insufficiente, ancor prima che residui di produzioni industriali su vasta scala.