La fontana dell’esedra
Uno degli esempi dell’arte moderna più significativi che si pone a sostegno della tesi per cui si pensa che l’innamoramento stordisca e renda improduttivi è la fontana romana delle naiadi di Piazza dell’Esedra. La localizzazione di questa fontana è aperta e molto ariosa e svela subito la sua presenza sia che la si guardi da via Nazionale, sia che la si osservi da viale Einaudi. Svela la sua presenza e i suoi bei contenuti quasi subito, ma non il suo crittogramma simbolico. Al di là del suo facilmente criticabile effetto retorico e del sensualismo un po’ naif, questa fontana nasconde una lettura molto più profonda.
La fontana delle naiadi è la fontana dell’acqua viva e zampillante, è la fontana dell’elemento femminile inteso nella sua circolarità nutritiva e nel suo erotismo sensuale più vero e meno pedissequo. Circolarità che con il suo centro, inteso come inizio delle cose, ci rimanda anche, per analogia, al principio alchemico del lapis philosophorum il quale, spesso, dagli alchimisti era rappresentato come essere animato.
Il rumore delle acque dell’Esedra chiama da lontano. È prima un mormorio disperato, come disperato poteva essere il sussurro appassionato della ninfa Eco‚ innamorata respinta dall’egoico Narciso, poi diventa fragore spumeggiante, iridescenza di vapori e di luce rifratta che travolge e stordisce, consegnandoci al più completo e bieco annichilimento.
Una personalità sensibile e poco incline alla superficialità non può non essere colpita dalla volontà aggressiva della bellezza diretta ed offensiva che esprime il gruppo bronzeo del Rutelli accarezzato dalla dolcezza delle acque.
L’immaginazione, per dirla con Gaston Bachelard, viene inevitabilmente colpita, non solo dalle forme, ma anche dalla materia, intesa come significato primitivo intrinseco che va oltre l’osanna di un facile quanto ingenuo tripudio erotico. Solamente interpretando l’eros che scaturisce da questo capolavoro nel suo significato più bigotto e dispregiativo si può scivolare nell’errore grossolano e colpevole di vedere come fece all’epoca dell’inaugurazione dei bronzi (siamo nel 1901) il consigliere comunale cattolico Giovenale al posto delle splendide ninfe rutelliane: “ (…) robuste ed erculee donne, simili alle driadi, alle abitatrici dei monti; non ninfe inebriate dal piacere dell’acqua ma, mi si perdoni l’espressione, ciociare ubriache di cattivo vino che hanno assunto su quei divani ( i mostri acquatici n.d.a.) le pose più dimostrative” (D’onofrio, C., 1985).
Alla sua inaugurazione, il 10 febbraio 1901, i bronzi del Rutelli, dunque, suscitarono la reazione perbenista e forse troppo scandalistica del clero e della fazione politica ad esso collegata. Le vignette satiriche, apparse su alcuni giornali anticlericali dell’epoca, ritraevano le ninfe vestite con reggiseni ed altri indumenti femminili.
La reazione troppo persistente e vigorosa a determinate problematiche nasconde sempre, nella sua profondità imperscrutabile, la radicata esistenza del problema stesso. Non è un caso che sia il clero, con il suo obbligo del celibato, a mettere le mutande agli affreschi della Cappella Sistina o a voler apporre i reggiseni alle naiadi.
Il significato erotico e sensuale della Fontana, inteso nella sua “immaginazione materiale” e non solo formale, seguendo ancora Gaston Bachelard, va al di là della apparenza statuaria (Bachelard, G. 1942). Esso è racchiuso nel suo significato acquifero simbolico: paradossalmente, se davvero la censura l’avesse avuta vinta e le naiadi si fossero vestite, l’effetto erotizzante sarebbe stato ancora più dirompente. Il significato della fontana delle naiadi contiene una simbologia squisitamente femminile, tant’è vero che la realizzazione dei suoi bronzi non vedeva inizialmente l’elemento maschile centrale, (appostovi soltanto dieci anni dopo) rappresentato da un Glauco che stringe al petto un delfino dalla cui bocca sprizza fuori un getto potentissimo d’acqua che sovrasta tutto il resto della fontana.
Stranamente questa variazione, dalla sin troppo evidente simbologia fallocratica, all’epoca in cui fu collocata non suscitò opposizioni né grida di scandalo di sorta. Eppure è nudo il tritone e fortemente allusiva la componente ittica che stringe al suo torace ampio e oltremodo muscoloso; semplicemente poderoso il getto d’acqua centrale che evoca profondamente ed inevitabilmente l’immagine di una titanica eiaculazione.
Con un po’ di buona volontà e senza scomodare Sigmund Freud, che pure all’epoca aveva già strutturato la sua teoria psicologica pansessualista e forse non era poi così famoso in Italia, il clero e i suoi accoliti assessoriali avrebbero potuto trovare mille motivi indecorosi anche per questa scultura “maschia”. Invece nulla. La cultura giudaico-cristiana con la sua Weltanschauung patriarcale accolse con battito di ciglio molto benevolo l’intromissione dell’elemento scultoreo maschile che, guarda caso, è dominante su tutto il gruppo. Forse ne avrà tratto giovamento l’ansia della cultura maschilista messa a dura prova dal potere evocativo delle belle naiadi, forse architettonicamente ed artisticamente la fontana ci avrà guadagnato. Non sono un esperto d’arte e mi astengo dignitosamente da ogni commento “tecnico” al riguardo. Ma come esperto psicologo, studioso dei simboli e dell’immaginario fantasmatico, non posso far a meno di notare l’intrusione forzata e quasi prepotente di questo elemento centrale. Perché la fontana dell’Esedra esprime il senso di un primato che solo l’acqua, e come in questo caso particolarmente l’acqua dolce, simbolo femminile e materno, possiede su ogni altra cosa al mondo. Primato che si espande anche sullo spruzzo orgasmico ed eiaculatorio del più potente dei giganti. Leggendola in chiave analitica e profonda, tale intrusione ci rimanda inevitabilmente ad un difensivismo egoico attuato da parte di una società marcatamente maschilista, com’era quella dell’epoca, che deve lottare contro una ipotetica frantumazione della sua personalità collettiva: disgregazione evocata dalla forte spinta alla regressione agli stadi infantili che la fontana emana.
Ciò trova conforto nella modificazione del temenos fontanile con l’inserimento dell’elemento tritonico, maschile e paterno che, come sappiamo, simboleggia la coscienza dell’Io e la norma collettiva.
Al di là di una facile interpretazione puerile della natura, la freschezza delle acque, la loro chiarezza e dunque purezza, ci riportano ad un intendimento di vita che, con significato junghiano, potremmo definire libidico. Esse rappresentano l’inconscio collettivo ed inviano anche al concetto alchemico di fons mercurialis, cioè di fonte dell’acqua di vita:
“Come il padre rappresenta la coscienza collettiva, lo spirito tradizionale, così la madre rappresenta l’inconscio collettivo, la fonte dell’acqua di vita”. (C.G. Jung, 1944).
La fonte, comunque, scaturisce dal basso, ed essendo essa simbolo dell’inconscio racchiude in sé anche un significato ctonio e distruttivo. Essa “( …) è il simbolo della forza vitale che si rinnova continuamente, dell’orologio che non si scarica mai. (…) ma anche il suo calore, il suo ardore, il segreto della passione, i cui sinonimi hanno sempre rapporto col fuoco.” (C.G. Jung, op. cit.)
Nel caso della fontana dell’Esedra l’onda dell’acqua e la sua corrente ci avvolgono e con il loro valore vivificante si trasformano in seno rotondo e sodo. L’acqua delle naiadi è un’acqua che nutre e seduce al tempo stesso, così come nutre e seduce il seno materno o quello della propria amante. È un significato di vita l’acqua della fontana dell’Esedra, vista nel suo potere nutritivo ed erotico, che ferma e contiene l’altro suo aspetto distruttivo rappresentato dai “mostri” acquatici. È questo il segreto del fascino di questa fontana. Un potere “fusionale”, che rimanda alle primissime esperienze infantili, all’uroboro materno, a quello stato edenico d’accoglimento… flusso incondizionato d’accettazione e d’amore spassionato che ognuno è destinato a perdere a causa della sua stessa condizione umana; e che ognuno continuerà disperatamente a ricercare per il resto della sua vita. Ecco perché il cuore si stringe colpito da un sentimento di profonda nostalgia quando ci si pone di fronte allo spettacolo di queste acque “primarie”, dalla forza oserei dire ipnagogica.
Perché ognuno, che se ne renda conto o no, proverà l’illusione di aver riconquistato, seppure per pochi attimi, il proprio “paradiso perduto” per dirla con John Milton, (“Il nostro esistere non può essere separato, noi siamo uno, una carne, perdere te sarebbe perdere me stesso”, John Milton, Paradise lost, book IX) quel rapporto primario con la figura femminile materna che è l’unico, primo e vero rapporto innamoramentale dell’esistenza.
Nel mito greco le naiadi, ninfe dell’acqua dolce, contrariamente alle sirene, sono alleate degli uomini. La loro ascendenza è oggetto di discussione tra i mitografi.
Omero ne attribuisce la paternità a Zeus, altre leggende le dicono figlie di Oceano. La loro caratteristica particolare è che sono legate alla fonte o al corso d’acqua che personificano. Sono di origine divina, molto longeve, ma mortali. Un’altra peculiarità è che possiedono capacità terapeutiche notevoli: chiunque beva le acque delle loro fonti vede scomparire afflizioni e malattie. Ancora, si racconta che chiunque scontenti una naiade potrebbe essere colpito dalla follia e se soltanto la s’incontri e la si osservi, si potrebbe essere “posseduti” da lei e cadere in un profondo smarrimento: il simbolismo materno che le naiadi possono anche assumere e che rappresenterebbe in tal caso l’inconscio collettivo, rischia di farci precipitare in una forte regressione, invadendo ed inflazionando L’Io (è risaputo che nelle acque dolci la spinta al galleggiamento è minore ed in esse è più facile annegare). Ma a buona guardia, contro questa pur viva possibilità, troviamo ancora il temenos sacrale della fontana che, nello stesso modo in cui quello analitico garantisce il paziente, anche in tale sorgiva e zampillante situazione, protegge e rassicura il passante.
Nella realizzazione dello scultore palermitano Mario Rutelli, infatti, le ninfe sovrastano alcuni mostri acquatici, simboli opposti della capacità distruttiva che, pure, le acque possiedono. Li contengono, li imbrigliano e ne annullano il loro potere mortifero. Oceanina con la sinistra afferra il ciuffo della criniera del mostro-cavallo e con il braccio destro lo trattiene per il collo. Naiade, anch’essa trattiene un rapace dal collo cignesco che rimanda inevitabilmente all’immagine mitica di Leda ed al suo significato sessuale. Ondina, adagiata ed avvinghiata ad un pesce dalla coda sinuosa, esprime in una posa molto plastica e sensuale la sua personale vittoria e Nereide, a mio parere la più bella, poggia il suo fianco rotondo su di un esangue sauro acquatico, reso ormai inoffensivo. Con le mani si ravvia i capelli mentre si tiene la testa e con lo sguardo scruta l’orizzonte, quasi a voler catturare il prossimo passante, non per punirlo con la follia o per infliggergli attimi di smarrimento regressivo, ma per regalargli con slancio psicoterapeutico tutto il suo stupore.
Bibliografia
Bachelard, G.
1942 Psicanalisi delle acque, Purificazione, morte e Rinascita, Red, Como, 1987
D’onofrio, C.
1986 Le fontane di Roma, Romana Società Editrice, Roma
Jung, C.G.
1943 Psicologia e Alchimia, Bollati Boringhieri, Torino, 1989
Milton, J.
1667-74 Il Paradiso perduto, Einaudi, Torino, 1992