Tempesta
“Queste storie non avvennero mai, ma sono sempre:
l’intelligenza le vede tutte assieme in un istante,
la parola le percorre e le espone in successione.”
Secondo Saturnino Salustio, Sugli Dei e il mondo.
Questa è la storia di alcune persone di differenti estrazioni sociali e di una impensabile amicizia sorta tra loro.
La nuova disposizione del porto di Piombino realizzata dalle autorità marittime, oltre a trasformare il paesaggio di tutta l’insenatura, aveva procurato benessere e prosperità. La pesante e un po’ deprimente visuale industriale, a seguito degli importanti lavori di riconversione, aveva lasciato spazio ad un nuovo panorama marittimo, molto più accattivante e piacevole. Ad una certa distanza dalla possibilità di attracchi per i traghetti, nella darsena si era creato spazio per le imbarcazioni private di piccolo e medio cabotaggio. Era stato allestito anche un approdo per la flotta pescherecci. L’attività della pesca era una fonte di ricchezza primaria che si riverberava su tutto il territorio e, perciò, tenuta in molta considerazione dalla politica del luogo.
Ora, gli è che la goletta Gabbiano reale, tipo Oloferne, un due alberi da diporto con vele auriche e il bompresso (intendo trinchetta e fiocco) del principe Fabio Sigismondo Chigi dell’Ardenghesca si trovò temporaneamente, e per ragioni di capienza a causa dei lavori non ancora del tutto terminati, a dover attraccare accanto al motopeschereccio Smergo marino* dei pescatori napoletani Ciro e Gennaro Esposito. Ogni volta che le due imbarcazioni s’incrociavano per l’attracco o per la partenza erano sguardi di sprezzante supponenza da una parte e di gioiosa ironia partenopea dall’altra.
- Te tu l’hai visto come mi guarda quel bifolco o Fabio?
La callipigia** principessa Leopolda Marisa Chigi dell’Ardenghesca, alta, bionda naturale e fisico da barbie, così si rivolgeva al fratello con tono indignato ogni volta che gli sguardi tra i pescatori e i nobili si incontravano.
- O che tu ci vole fare Polda?! Il mondo l’è bello perché “avariato”.
Rispondeva sempre il principe Fabio Sigismondo con tono di alterigia e sufficienza.
- Maruzzella, Maruzze’…***
Cantava Ciro con caricata, sensuale e ironica allusione ogni volta che i natanti si passavano accanto, ognuno in bella vista sui rispettivi ponti.
- Ma guarda che l’è proprio un bischero irriverente costui! Ma come osa questo briccone camorrista? Un giorno te tu gli dovrai dare una sonora lezione, oh Fabio.
Invariabilmente, Leopolda così si rivolgeva al fratello con tono concitato.
- Senta lei, Smergo marino, oh che forse non la può smettere di hanticchiare certi motivetti con fare allusivo alla mi sorella ogni volta e che ci incrociamo? L’imbarazza molto, sa’?
Ebbe modo di dire un giorno Fabio Sigismondo a Ciro, con tono allusivo e serio, ma da gentiluomo qual era.
- Aah, chella t’è sor’? E ie che ne putev’ sapé: ie me penzav ca fosse a cummara toja!
Ribatte’ il pescatore con fare volutamente provocatorio.
- Io sono il principe Fabio Sigismondo Chigi dell’Ardenghesca e lei l’è la mi sorella Leopolda Marisa Chigi dell’Ardenghesca.
- A’ faccia ddò casocavallo. E che ne putev sape’ ie? Vi chiedo umilmente scusa, Vostra Eccellenza.
Esclamò Ciro con tono caricato, che sapeva perfettamente chi fossero i due, accennando un leggero inchino, ma ridendo di gusto insieme con Gennaro.
- Un dì di questi ce la vedremo da uomo a uomo! Smergo marino! Icchè razza di nome per una barca da pesca!
Provocò Fabio con orgoglio, ma senza troppa convinzione.
- Seh, seh, vabbuon’! Ma hè sapè ch’o smergo marin’ è propt n’auciell’ piscatore, abile assaj, cchiù meglio dd’o gabbiano reale! He capit!?
Ciro, al timone del suo Smergo marino, tirò dritto continuando a ridere con Gennarino.
- He vist’ Gennari’ che cul ca tien Leopolda?
- E cche: nunn’ l’aggia vista, Ciro? Un lato B da concorso!
- E tutt’ ‘o rest’, Gennari’?
- ‘Na dea dell’ammore, Ciro, ’na dea dell’ammore!
I due fratelli, sghignazzando, gioiosi e contenti sfilarono verso il loro ormeggio.
Fabio Chigi dell’Ardenghesca era un nobile trentenne, alto e biondo, avvenente come la sorella, atletico e aitante di quella forza che il privilegio di essere ricco gli aveva riservato nella vita. Era più che abile come marinaio e sapeva governare la sua goletta con maestria e competenza uniche. Sebbene snobbish per provenienza di schiatta, era però virtuoso per educazione e, all’occorrenza, sapeva riconoscere l’altrui valore insieme con i propri limiti. Insomma, non era del tutto il classico nobile viziato.
I fratelli napoletani erano due magnifici “ragazzi” vigorosi e belli, di quella leggiadria scultorea policletea tipica delle contee del sud. Ciro e Gennarino Esposito non erano né bricconi né camorristi. Si erano guadagnati la possibilità di accedere ad un mutuo per pagarsi l’imbarcazione col duro lavoro e con grandi sacrifici.
Ciro e Gennaro Esposito
A dispetto di ciò che potevano pensare i nobili Chigi dell’Ardenghesca, i due fratelli partenopei erano persone oneste, non istruiti, ma colmi di quel sapere e di quella saggezza che soltanto la vita di stenti e di fatica può insegnare.
- Stammi bene a sentire Ciro Escposit, si te vech ‘n’ata vota ca fai ll’uocchie ‘a zennariell’ a chellallà sonch guai seri! Ie te scuomm’ ‘e mazzat’, comm’è vver’ Iddio! He capit’?
Brigida, la moglie di Ciro, era una bellezza campana verace. Bruna e formosa, un viso da concorso su cui spiccavano due labbra carnose e piene, il tutto sottolineato da un seno prosperoso, ma aggraziato. Era tutto il contrario di Leopolda Chigi.
- Ma che dici, Briggita?! L’ammore mio si tu! Io a chellallà manch’ a pienz.
- Pienz a ffaticà, e vaje, vai cuoncio cuoncio, c’a io te saccio bbuon’ a tte!
Brigida quando si alterava “sbatacchiava il parapetto” con fare minaccioso di controllo e richiamava Ciro alle sue responsabilità di marito lavoratore.
Quel venerdì pomeriggio di un luglio oltremodo caldo e asfissiante la capitaneria di porto lanciò un repentino allarme meteo. Tutte le imbarcazioni erano vivamente esortate a non lasciare il porto poiché una improvvisa, insolita tempesta proveniente dalle isole britanniche stava imperversando al largo tra il promontorio e l’isola d’Elba. Non che di fronte alle coste livornesi le tempeste fossero rare, anzi, ma l’intensità di questa burrasca lasciava sgomenti anche i più esperti lupi di mare del luogo.
Ciro e Gennarino, lesti lesti, rientrarono in porto a Piombino, lasciando quasi a metà la loro attività ittica. Fabio Chigi, invece, era partito con la sua goletta da Cavo all’isola d’Elba, convinto di farcela a precedere il maltempo fino a Piombino. La velocità di Alie*** (così i meteorologi chiamarono la burrasca) fu maggiore e lo sorprese a pochi minuti fuori del porto.
Onde alte quasi dieci metri, un vento di burrasca che Fabio non aveva mai sperimentato, probabilmente dovuto al cambiamento climatico in atto sul pianeta. Si mise di poppa al vento con l’idea di sfruttarne la forza e veleggiare velocemente verso Piombino, ma l’albero di maestra collassò all’improvviso. Il Gabbiano reale si inclinò paurosamente sulla fiancata destra e Fabio dovette lottare con le onde e con il vento per tagliare le corde e tutte le imbracature per liberarsi dell’albero centrale che rischiava di far rivoltare l’imbarcazione. Leopolda faceva quel che poteva agli ordini del fratello, ma era ad un passo dal panico.
- Attenzione, attenzione. Capitaneria di porto. È stato captato un S.O.S. da parte del Gabbiano reale in seria difficoltà al largo di Cavo, Isola D’Elba. Stiamo soccorrendo un’altra imbarcazione a cinque miglia dal promontorio di Piombino e la situazione è molto difficile. Chiunque sia nelle vicinanze del Gabbiano reale provi ad intervenire. Coordinate circa 42°51, 65 N 10° 25’, 40 E. Le imbarcazioni ormai in porto non escano. Le condizioni meteo sono impossibili. Ripeto, non uscite dal porto, condizioni meteo insostenibili.
La radio di bordo dello Smergo marino gracchiando emanò il comunicato ai naviganti.
- Hai sentit Gennari’. È propt Fabbio co o’ Gabbiano reale!
- Embè, chi se ne fotte, Ciro! Nuie ce simm’ arrecugliute ampress’. Perché non l’è fatt pur iss?!
- Quando dici ‘ste ccose, me mitt’ appaura, Gennari’! Sarà pure ca Fabbio fosse nnu ppoch’ strunz’, ma ‘a sora…mannaggia a San Gennaro!!!
Gli occhi di Ciro s’illuminarono all’improvviso. Girò tutta la barra e fece inversione puntando la prua verso l’uscita del porto.
- Tu si’ scemo ‘n capa, Ciro! Ma che bbuo’ fa? Mannaggia alla muort, mannaggia!
- Va bbuon’ Gennari’, li jamm’ a piglià. ‘O Smergo marino nun tene appaura ‘e nisciuna tempesta!
- All’anema e chi t’è mmuort’, Ciro. L’avvimm ancora fini’ e’ pacar!
Lo Smergo marino uscì dal porto di Piombino puntando le onde di tre quarti. La bravura di Ciro era indiscutibile e ci sapeva davvero fare, ma la tempesta era un mostro di acqua e vento. I cuori dei due pescatori tremarono e non poco. Il motore diesel dello Smergo non era velocissimo, ma aveva una coppia di torsione eccezionalmente vigorosa. Navigarono così tra schiaffi d’acqua e bordate di vento paurosi. Seguirono le coordinate della Capitaneria di porto e giunsero ad avvistare il Gabbiano reale.
- Sì o vegg, o vegg! Tienet’ nu poc a dritta che l’arrivamm!
La visuale era ridotta a poco, ma in quella “nebbia” dovuta al fortunale i due fratelli riuscirono a individuare la sagoma del Gabbiano reale e lo raggiunsero.
- Santa madre di Dio! Virate e abbordate se ci riuscite!
Urlò Fabio che cercava ancora di governare la goletta. Sorpreso e incredulo, il principe avrebbe voluto lasciare la sua imbarcazione che aveva imbarcato molta acqua e trasferirsi sullo Smergo marino.
- No, no. Fabio. Sient a me. Ora ti affianchamm e ti gettiamo ‘e fun’. Tu legale a prua. He capit?!
- Non ti sento, grida più forte! Maremma!!!
Ciro allora, da bravo napoletano si fece intendere a gesti. Fabio, pur essendo un nobile toscano, capì i movimenti del corpo del pescatore ed esegui l’allaccio con sapienti nodi marinai. Una volta allacciata la prua del Gabbiano reale, Ciro diede gas e gli si portò davanti. Con la potente coppia del suo motore diesel, lo Smergo marino iniziò a tirare, tirare, tirare finché la goletta dei Chigi non cominciò a muoversi. Sebbene ancora in preda al fortunale, le due imbarcazioni sembravano ormai dirette con lentezza, ma con determinazione verso il porto di Piombino. Ma la barba di Nettuno si mise di mezzo. Un’onda enorme si abbatté su entrambi i natanti. Mentre Ciro e Gennarino erano in cabina al posto di pilotaggio, sia Fabio sia Marisa si trovavano ancora sul ponte del Gabbiano reale. La mano del dio del mare li ghermì e li trascinò fuori bordo. Fu Gennarino ad accorgersi per primo dell’incidente, perché Ciro era tutto concentrato al timone del suo peschereccio.
- Maroooonna ddo Carmn! Ciro! Fabio e Ippolita a mmare!
Ciro capì al volo.
- Prend o salvaggient Gennari’ e stregnel’ fuort alla sagola longa! He capit?! Chella longa Muooovt!!!
Gennarino, gli occhi sbarrati, eseguì veloce e legò con nodi inscindibili, se non da mani esperte, la sagola al salvagente. Ciro gli affidò il timone e, raccomandandosi di fermare il motore, ma di non virare per nessun motivo, si tolse tutti i vestiti, lasciandosi solo gli slip, infilò il salvagente nel braccio sinistro e, dal bordo dello Smergo, spiccò un tuffo da campione entrando in acqua.
- Ciro, ma che vuo’ far! Tu si’ tutto scem’!!! Ciroooooo!!!
Urlava Gennarino quasi piangendo.
Una volta in mare Ciro cominciò a nuotare verso i due perché riusciva a vederli, nonostante le condizioni fossero impossibili. Con potenti bracciate, il giovane marinaio raggiunse i Chigi, ma proprio mentre stava arrivando, Ippolita scomparve inghiottita da un forte flutto. Allora Ciro diede il salvagente a Fabio comandandogli d’infilarselo alla svelta.
- Mittatill! Suuubbbt!
- Ma, Polda!!!
- Ce pens ie a Polda! Faie ampress!!!
I due Chigi sapevano nuotare. Ore ed ore di nuoto in piscina li avevano addestrati bene. Ma il mare non è una vasca riempita d’acqua, tantomeno un mare in tempesta.
- Tira ‘a sagola, Gennari’!
Ciro urlava ben sapendo che Gennarino non avrebbe mai potuto sentirlo, ma dava il segnale a gesti. Gennaro Esposito realizzò velocemente e cominciò ad avvolgere la sagola. Fabio, poco alla volta, raggiunse lo Smergo e fu rapido a salire a bordo aiutato da Gennaro.
- A rrro cazz si’ fernut’!
Ciro si immergeva ad occhi aperti e riemergeva a tratti di pochi secondi l’uno dall’altro. Improvvisamente, nell’ultima immersione la avvistò. Era a una manciata di metri sotto di lui. Il lampo dei capelli biondi della nobile toscana fu come il segnale di un faro in quell’acqua scura e tormentata. Ciro nuotò a rana in profondità e la raggiunse a fatica.
La prese proprio per i lunghi capelli e cominciò a dare gagliardi colpi di gambe aiutandosi col braccio libero verso la superfice. Una volta nelle onde tremende, la abbracciò da sotto il seno appoggiandosela sul petto. Allora, le voltò il capo verso di sé e cominciò a soffiarle aria nella bocca. È strano come, in certe drammatiche, sofferenti circostanze, la memoria conservi ciò che di piacevole resta invece delle cose cariche di dolore. Ciro ricordò per sempre la consistenza del piccolo seno e delle morbide labbra della nobile toscana. Un tormento, quello sì, che lo spaventò e non lo lasciò per tutta la vita. Ippolita era svenuta, ma non morta. Con un paio di rigurgiti tornò a respirare. Capito che si era riavuta, il pescatore nuotò con rinnovato vigore verso lo Smergo. Gennaro non si fece nemmeno dire cosa doveva fare. Con un tiro da discobolo, lanciò il salvagente in direzione dei due, quasi centrandoli.
- Tira Gennari’, tiraaaa!!!
Ciro gridava a squarciagola. Gennaro e Fabio, uno dietro l’altro, cominciarono a tirare e, ben presto i due furono sottobordo allo Smergo.
- Noooo, Fabio! Rest’ ngopp’ a barca! Nun te jettà! ‘A lanz’ ie da suott!
Strillò Ciro e, immersosi, unì le gambe di Ippolita con entrambe le mani e spinse verso l’alto. Gennaro e Fabio riuscirono ad afferrarle le braccia e, paradossalmente, un’onda paurosa, li aiutò ad issare a bordo la Chigi come fosse un tonno appena pescato. I due portarono lestamente Ippolita in cabina e l’adagiarono a terra coprendola con una coperta. Tornati lungo il fianco del peschereccio, Ciro non si vedeva più.
- Maronn ddo Carmn, Maronn ddo Carmn! Addo’ staie! Addo’ si fernut’!
Imprecava ad alta voce Gennaro con tono supplichevole. Lo avvistò Fabio a qualche metro dall’imbarcazione e, imbracciato il salvagente con la sagola, senza perdere un istante, si tuffò. Ah, se sapeva nuotare Fabio! Da provetto atleta lo raggiunse rapidamente. Ciro era vigile, ma sfinito. Tutti e due nuotarono aggrappati alla ciambella di salvataggio. Raggiunsero celermente la fiancata ondeggiante dello Smergo perché Gennaro, in piedi come un equilibrista, tirava con quanta forza aveva in corpo. Questa volta fu Fabio a spingere da sotto Ciro e, anche in quel momento, un’alta onda favorì l’abbordaggio. Una volta sul suo natante, Ciro si sporse per prendere le braccia di Fabio e, insieme con Gennaro, lo issarono sul ponte. La lotta non era finita. La tempesta imperversava con furia inaudita. Ripresisi un poco, Ciro disse a Fabio che avrebbe accostato di nuovo il Gabbino reale.
- Maremma impestata, te tu ti sei bevuto il cervello?!
- E statt zitt. Risparmia il fiato Fabio, ca mo’ he zumpà ‘ngopp’! Metti in moto Gennari’!
Con manovra esperta Ciro accostò nuovamente il Gabbiano reale che continuava ad essere legato allo Smergo marino.
- Zompa! Zompa ‘ngopp’, Fabio!
Fabio Chigi con un balzo felino saltò e, rotolando, finì in coperta alla goletta spazzata dalle onde. Si mise al timone ponendola di tre quarti, come gli aveva suggerito Ciro. Sentì il borbottio profondo del diesel dello Smergo aumentare e di lì a poco un leggero strattone a prua del suo veliero. Il peschereccio, come fosse un testardo rimorchiatore, avviò la sua navigazione di salvataggio. Tra un energico sballottamento e l’altro, le due imbarcazioni iniziarono ad intravvedere lo Skyline del porto di Piombino. Ippolita, stesa nella cabina dello Smergo, avvolta in una coperta, si era nel frattempo ripresa, anche se ancora debole e sotto choc. Fabio, al timone del Gabbiano lo governava con esperienza. Fu così che i nostri “eroi”, con entrambe le barche, riuscirono ad entrare in porto aiutati dalla capitaneria e da altri esperti marinai usciti sul molo per aiutarli. Non appena attraccati, sbarcarono Ippolita che, con un’auto di servizio della presidenza portuale, fu condotta in ospedale per accertamenti e per precauzione. Passarono i giorni da quell’evento e i due Chigi e i due pescatori ora si salutavano con cordialità, quando s’incrociavano.
- Te tu la vuoi smettere di fissare la mi sorella con quegli occhi da pesce lesso ogni volta e che ci s’incontra? O Ciro!
Lo apostrofava sempre Fabio ridendo.
- Ie? Ma ie guardo sempre l’albero maestro del Gabbiano che è venuto propt bene. Che colpa teng si in miez’ ce sta sempe Polda!
Rispondeva di continuo Ciro scherzosamente.
- Eh, Gennari’, ha scritt ben o professor’ Bellavista: “L’ammore e a vita s’ vincon con un att e curagg!”
Un giorno, esclamò Ciro a Gennaro, dopo aver flirtato con lo sguardo verso la callipigia venere toscana. Ippolita, in effetti, tutte le vote che s’imbatteva in Ciro, gli faceva gli occhi dolci. Disgrazia volle che proprio a due metri dai due, in quell’infausto momento, all’insaputa di Ciro, fosse sopraggiunta alla sue spalle Brigida che era passata a trovarli.
- Cos’è che è ditt? No, no, ripet nu poc!
Brigida stava sbatacchiando il “parapetto” in maniera assai pericolosa.
- Briggita, ammore mie! Propt a te stav pensann! Dicev che l’ammore e la vita si vincono con un atto e curagg. Parlav’ ‘e te, vita mia. Al curagg ch’aggio avut cuann te facett’ a corte.
- Seh… Seh…. Ciro Escposito. Finisci e’ piegare ‘sti rezze e tras’ ‘a casa c’aggio ggià apparato ‘o pranz’.
Brigida continuava a fissarlo con fare minaccioso.
- Certo, ammore mio, mo veng, il tempo di sistemare ddoie cosarelle e veng.
- Mmmm, ce simm’ intis’, neh, è ‘o vero, Ciro Escposit’?…
- Cuanno mai nuie nun ce simm’ intis’, Briggita?!
Ciro, fischiettando con nonchalance continuava a piegare le reti, guardando di tanto in tanto Brigida che, col suo passo sensuale, si allontanava. In effetti avrebbe preferito di gran lunga affrontare un’altra tempesta che le ire di sua moglie. Gennaro indaffarato rideva sotto i baffi insieme con Fabio sulla sua goletta. Ippolita, quando Ciro le rivolse nuovamente lo sguardo, gli fece l’occhiolino.
* Lo smergo marino è un uccello, simile ad un’anatra, abilissimo nel pescare pesce in mare.
** Callipigia, dal greco antico: dai bei glutei. Era uno degli attributi della dea Afrodite, la Venere dei Latini.
*** Maruzzella in napoletano è il vezzeggiativo del nome Marisa, secondo nome di Leopolda Chigi.
**** Alie, nel mito greco, era una nereide, figlia del dio del mare Nereo e della oceanina Doride. Il suo nome significa donna del mare.