ALESSANDRO VII PAPA (FABIO CHIGI)
Ascolta la narrazione di questo testo.
Alessandro VII, al secolo Fabio Chigi, è stato il 237° papa della chiesa cattolica. Ha governato lo stato pontificio per poco più di dodici anni dal 7 aprile del 1655 al 22 maggio 1667 (data della sua morte), ma ha lasciato un segno straordinario e indelebile nella storia della cultura e delle belle arti. Favorì il riassetto di piazze, quartieri, monumenti, palazzi e fece costruire opere in un periodo artistico definito barocco dai critici e dagli storici dell’arte. La parola barocco proviene dal termine portoghese barròco che sta ad indicare una perla scaramazza, cioè irregolare, non
rotonda. Proprio questa fu la caratteristica di quell’incredibile periodo artistico che originò a Roma: la non linearità e centralità dei tratti e il movimento, appunto, eccentrico che ne derivava. Il movimento è la particolarità principale del barocco.
Molti critici d’arte, specialmente gli essenzialisti e i minimalisti, valutano questo stile giudicandolo troppo drammatico, eccessivo nella sua teatrale intenzione di rappresentare il potere e la ricchezza. Sbagliano. Grazie alla necessità della chiesa cattolica di riportare a sé i fedeli in parte perduti dopo la riforma luterana, sorse nella Città eterna l’ideologia barocca, in senso lato, che si espresse in pittura, scultura, architettura, urbanistica, letteratura, filosofia, teatro e musica. Soprattutto in pittura, scultura, architettura e urbanistica, il barocco rappresentò un’esplosione “erotica” dell’inventiva di numerosi artisti che ebbero, finalmente, la possibilità di esprimersi a livelli creativi più liberi, esulando dai rigorismi statici e ieratici del manierismo. Lo sgomento delle scoperte scientifiche del secolo XVII che dal sogno degli infiniti
mondi di Giordano Bruno arriva alla constatazione galileiana dell’immensità dello spazio, portò l’essere umano a soffrire di un senso di precarietà al quale la chiesa cattolica rispose con un’intollerante repressione. Solo in campo artistico era permesso “muoversi” e, comunque, sempre entro determinate condizioni. Limiti che, seppure
concedenti alcune libertà innovative, esistevano e condizionavano. Famosi sono i rifiuti da parte dei committenti, congregazioni, ordini religiosi o cardinali e nobili, di alcuni celeberrimi dipinti di Caravaggio che esulavano dalla rigida e idealizzata visione rappresentativa delle figure di santi e di madonne. Il barocco romano esprimeva, dunque, anche una certa carica “rivoluzionaria”.
Senese di nascita, Fabio Chigi nacque il 13 febbraio 1599, rampollo di una ricca famiglia di banchieri. Il padre, conte Flavio Chigi Ardenghesca, era un pronipote di Agostino Chigi e nipote di papa Paolo V. Fabio ricevette un’istruzione di primordine.
Oggi lo definiremmo un plurilaureato (lauree in diritto civile e in diritto canonico, la cosiddetta in utroque iure, poi in filosofia e in teologia). Quindi, un coltissimo intellettuale con un sapere umanistico immenso che andava dalla letteratura alla filosofia, dalla storia all’architettura e all’urbanistica, quest’ultime due sebbene in
modo dilettantistico.
Recita un vecchio andante cattolico: “Morto un papa, se ne fa un altro”, ma i papi di santa romana chiesa non sono stati tutti uguali per capacità di governo. Ce ne sono stati di meno buoni, di buoni e di eccellenti. Fabio appartiene di sicuro alla categoria degli eccellenti. Nel dicembre del 1626, quindi a circa 16 anni dalla morte di Caravaggio, in piena era controriformista, si trasferì a Roma, la città eterna, e intraprese la sua carriera ecclesiastica. La sua elezione non fu rapida né semplice, il conclave che lo consacrò alla più alta carica della rappresentanza cattolica durò otre tre mesi, uno dei più lunghi e tribolati degli allora ultimi cento anni. All’epoca esistevano le fazioni francese, spagnola, un gruppo di cardinali capeggiati da Francesco Barberini e un altro gruppo di indipendenti che risultò determinante, insieme col Barberini, per la sua elezione al soglio pontificio.
Le famiglie romane ebbero sempre a confliggere per far sì che uno dei loro componenti riuscisse a raggiungere il soglio pontificio. Non è difficile immaginare perché. I papi all’epoca, e lo sarebbero stati per molti anni ancora, erano dei monarchi assoluti che potevano distribuire prebende e ricchezze a loro piacimento. Ovviamente, non le davano a
sconosciuti, ma preferibilmente ai componenti della loro cerchia parentale.
Alessandro VII, una volta insediatosi, animato da buone intenzioni, si schierò contro l’usanza delle prebende e contro i privilegi “nepotistici” a vantaggio dei famigliari dei papi. Ebbe a ricredersi, però, e con il concistoro del 24 aprile 1656 concesse al fratello e ai nipoti di raggiungerlo a Roma proclamando di aver bisogno della loro assistenza. Non è difficile immaginare perché. Nell’ecclesia, le lotte intestine per il potere si sono sempre distinte per la loro ferocia. Con il termine anglofono spoils system oggi definiamo la sostituzione, intorno ad un uomo potente, dei precedenti
responsabili di gestione con quelli più sicuri. È umano considerare che, in tali situazioni, l’eletto si voglia circondare di persone di cui possa fidarsi.
Uomo molto attento, lavorò tanto sugli ordini e sulle congregazioni ecclesiastiche quanto sui titoli delle chiese. Alcuni li osteggiò e addirittura li chiuse, altri li protesse e li aiutò. Ovviamente, poiché d’area spagnola in quanto ad elezione, si contrappose molto alla “corrente” dei cardinali “francesi.”
Attivissimo in politica estera, ebbe comprensibilmente un gran da fare con la Francia di Luigi XIV e col suo primo ministro Giulio Mazzarino al quale sopravvisse per oltre sei anni. Famosa resta nella storia della Chiesa l’incidente della Guardia còrsa papale. Il 20 agosto 1662, alcuni soldati francesi si scontrarono con certune guardie còrse che presidiavano ponte Sisto. Le suddette guardie, notoriamente, erano reputate molto aggressive e determinate. Alla notizia, anche i riservisti della guardia còrsa si unirono in una sorta d’assedio a palazzo Farnese, sede dell’ambasciata francese.
Il caso volle che in quel mentre rientrasse, sottonutrita scorta militare, la moglie dell’ambasciatore Carlo III, duca di Créqui. Ci scappò il morto francese, un paggio al seguito della duchessa di Créqui. Questo incidente diplomatico offrì l’occasione al monarca assolutista di ottenere lo scioglimento della guarnigione militare papalina, con conseguente acquisizione di una maggiore influenza politica e militare da parte sua sullo stato pontificio. Fabio Chigi trattò con intelligenza e astuzia con la Repubblica veneziana e nel 1657, in cambio del finanziamento alla marineria militare
della serenissima impegnata nella guerra contro i Turchi che assediavano l’isola di Creta, ottenne il rientro a Venezia dei Gesuiti che erano stati espulsi dalla città lagunare nel 1606.
Oltre la sua sagace capacità di destreggiarsi in un periodo storico oggettivamente difficilissimo per la chiesa, Fabio Chigi resta nella memoria incancellabile della storia delle belle arti per la sua competenza artistica ed è ricordato tra i papi cosiddetti “urbanisti”. Se Roma è diventata “bella” lo deve alla necessità impellente della Chiesa cattolica di portare i fedeli all’interno del suo alveo, soprattutto dopo lo scisma protestante. L’opera d’arte di pittura, scultura, architettura e urbanistica, tanto per citare le aree di maggior espressione artistica, fu usata come mezzo di comunicazione di massa per affermare il dominio della Chiesa cattolica su tutte le altre chiese. Fabio Chigi non fa eccezione e, come altri papi dal gusto raffinato e competente, fa sistemare piazza del popolo, riordina piazza della minerva innalzando l’obelisco sulla groppa dell’elefantino, assesta piazza del collegio romano, comanda
la costruzione di un nuovo fabbricato, la cosiddetta manica lunga, accanto al palazzo del Quirinale.
Inoltre, Alessandro VII diede indicazioni a Gian Lorenzo Bernini, che fu tra i suoi artisti prediletti, per il rimaneggiamento della scala regia del Palazzo Apostolico. Fu Fabio a suggerire a Gian Lorenzo la visione e la costruzione emiciclica del colonnato e della piazza di San Pietro. Inizialmente, Bernini avrebbe voluto costruirla in forma rettangolare, forma e disposizione più facili da realizzare. Fabio Chigi, più barocco ed “eccentrico” di Bernini, la volle emiciclica, cioè composta da due cerchi intersecantesi che avrebbe avuto, pertanto, due fuochi e una forma che ricordava due braccia allargate. Da fervente credente qual era, Alessandro VII intuì la forza simbolica e fortemente positiva che tale disposizione avrebbe rappresentato: l’abbraccio della chiesa al popolo dei fedeli in ogni parte del mondo.
Chissà, ma è soltanto una supposizione, che Alessandro VII, fine studioso, non si fece influenzare, nella scelta della forma emiciclica della piazza, dalle antiche teorie astronomiche di Aristarco che sosteneva essere il cerchio la forma per eccellenza in natura. Inoltre, avrà sicuramente conosciuto gli studi di Galileo Galilei sulle meccaniche celesti. Studi nei quali, il grande pisano, utilizzò di certo le scoperte dell’astronoma e matematica Ipazia d’Alessandria, avvenute secoli prima. Ipazia, nel IV secolo dopo Cristo, comprese che i movimenti dei pianeti rispettavano un andamento ellittico e non circolare, anticipando di secoli la prima legge di Keplero.
Senz’altro, questo papa intellettuale era a conoscenza che la terra non fosse il centro dell’universo. Con ogni probabilità, come molti eminenti esponenti della chiesa cattolica, non poteva ammetterlo pubblicamente poiché ne sarebbe andata di mezzo la credibilità dei testi “sacri” e, di conseguenza, il potere che, con essi, riusciva ad
esercitare sul popolo.
Una cosa è fuor di dubbio: Alessandro VII fu un grande restauratore e, al contempo, un rinnovatore delle architetture ecclesiastiche. Suoi furono i rifacimenti e le modifiche addotte alle chiese di santa Maria del popolo, con i nuovi ornamenti lavorati dal Bernini e dai suoi collaboratori, sant’Andrea della valle, santa Maria della pace, con lavori realizzati da Pietro da Cortona e dai suoi assistenti.
Per di più, in barba ai primi divieti dei favoritismi ai parenti dei papi che promulgò appena insediato, si adoperò per fare compiere lavori di gran pregio all’interno delle chiese patrone assegnate ai vari cardinali della famiglia Chigi. Commissionò a Gian Lorenzo Bernini un’opera a protezione della cattedra di San Pietro all’interno della basilica
petrina. La nuova postazione fu concepita per alloggiarvi la sopracitata cattedra, simbolo della “gloria” universale del papa. In accordo col Chigi, l’artista napoletano, la fece collocare nell’incavo del punto mediano del coro di San Pietro.
Fabio Chigi fu tra i primi pontefici a soggiornare con regolarità, maggiormente nelle stagioni più miti, nel palazzo pontificio di Castel Gandolfo che migliorò, affidando il completamento dell’edificio con la facciata e l’ala occidentale a vari architetti tra cui anche l’onnipresente Bernini.
La costruzione fu avviata anni prima (nel 1623) da papa Urbano VIII (Maffeo Barberini) immediatamente dopo la sua elezione. Il fabbricato realizzato nel 1629 sorse sul sito di una villa appartenuta all’imperatore romano Domiziano a sua volta, con ogni probabilità, eretta sulle fondamenta dell’antica acropoli di Alba Longa. Il suburbano recesso, così come era chiamata all’epoca la residenza, fu affidato alla indiscutibile bravura di Carlo Maderno, architetto ticinese, che si avvalse della collaborazione dei suoi allievi Bartolomeo Breccioli e Domenico Castelli (Maderno fu anche il mentore e maestro di Francesco Borromini, suo lontano parente acquisito, ticinese come lui, che in realtà faceva anch’egli Castelli di cognome). Il palazzo pontificio di Castel Gandolfo da aprile del 2014, insieme con altri 11 immobili, è esentato da espropriazioni e tributi e possiede il beneficio dell’extraterritorialità. Per volere di papa Bergoglio dal 21 ottobre del
2016 non è più residenza estiva del papa, ma è a tutti gli effetti un museo.
Fabio Chigi papa, carico di visioni e di una certa perizia sia in architettura sia in urbanistica, si assunse la responsabilità dell’abbattimento dell’antico arco trionfale romano che chiudeva piazza del Pantheon poiché da egli considerato pericolante e dunque pericoloso. Ogni cosa da lui considerata d’intralcio alla sua idea di sistemazione delle aree della città veniva eliminata. In particolare, fu sua la volontà del riassetto di piazza del Pantheon.
Alessandro VII, in simbiosi creativa e urbanistica con Gian Lorenzo Bernini, è il fautore della ristrutturazione e della riurbanizzazione del magnifico borgo di Ariccia passato dai Savelli ai Chigi nel 1661. Bernini e il suo giovane architetto Carlo Fontana con la sua squadra di competenti capimastri e artigiani (Bernini non nasce architetto, nasce scultore, gli fu imposto da Urbano VIII di divenirlo, e volentieri usava farsi aiutare da architetti giovani e preparati) si adoperarono a restaurare il palazzo dei Chigi. Crearono la Collegiata della chiesa di Santa Maria Assunta dalle linee esterne dritte, quasi classiche, in contrasto con quelle interne un po’ più movimentate, tipiche dello stile barocco. Il borgo di Ariccia fu risistemato secondo una pianta tipica del pensiero urbanistico del periodo.
Il coltissimo Fabio Chigi fu senz’altro uno straordinario patrono delle arti e delle scienze. Si interessò di architettura e di disposizioni urbane in particolare e possiamo annoverarlo tra quei papi, amanti delle arti, cosiddetti “urbanisti” che, nell’arco di almeno un cinquantennio barocco, abbellirono Roma, contribuendo a farla diventare la meraviglia che è. Alessandro VII fu il committente di opere ad artisti del calibro di Pietro da Cortona, Claudio Lorenese, Carlo Maratta, Giovanni Francesco Grimaldi, Pierre Mignard.
Infine, e non a caso, questo grande e sapiente pontefice della famiglia Chigi fu il committente dell’edificazione della biblioteca dell’Università La Sapienza che fu inaugurata postuma nel 1670, circa tre anni dopo la sua morte, e in suo onore chiamata Biblioteca Alessandrina.